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Curzio Malaparte
(✶1898 †1957)
Con gli Alleati
«L’esperienza insegna che la peggior forma di patriottismo è quella di chiudere gli occhi davanti alla realtà, e di spalancare la bocca in inni e in ipocriti elogi, che a null’altro servono se non a nascondere a sé e agli altri i mali vivi e reali. (...) Vi sono due modi di amare il proprio Paese: quello di dire apertamente la verità sui mali, le miserie, le vergogne di cui soffriamo, e quello di nascondere la realtà sotto il mantello dell’ipocrisia, negando piaghe, miserie, e vergogne […] Tra i due modi, preferisco il primo.»
(Curzio Malaparte, Il Tempo illustrato)
Dopo l'8 settembre 1943, si schierò col governo Badoglio. Nel novembre 1943 Malaparte fu nuovamente arrestato, dal CIC, il controspionaggio alleato, per le sue attività diplomatiche precedenti. Venne rilasciato pochi giorni dopo, perché ritenuto il tramite tra Galeazzo Ciano ed il governo greco nelle trattative intercorse prima che l'Italia attaccasse il Paese nel 1940 e considerato perciò a conoscenza di notizie utili. Da allora decise di collaborare col CIC, riferendo settimanalmente al suo responsabile, il colonnello Henry Cumming. La collaborazione durò fino alla liberazione.
Nel 1944, Malaparte rientrò anche nell'esercito italiano, come ufficiale di collegamento con il comando alleato del Corpo Italiano di Liberazione, e con il grado di capitano. L'arrivo delle forze di liberazione americane a Napoli e il profondo stato di prostrazione della città partenopea costituiscono il nucleo narrativo del secondo romanzo, La pelle, pubblicato nel 1949 presso le edizioni Aria d'Italia. Il titolo originale doveva essere La peste, ma venne cambiato per l'omonimia con il romanzo omonimo di Camus, uscito nel 1947. L'opera, animata da grande realismo e crude descrizioni della vita quotidiana, talvolta sconfinanti nel grottesco e nel surreale, venne messa all'Indice dalla Chiesa cattolica, forse per una scena (non si sa se realmente accaduta) che raffigura un gruppo di ebrei crocifissi agli alberi dai nazisti in Ucraina - duro atto d'accusa al cristianesimo d'Europa - e ritenuta dalla Chiesa come blasfema e offensiva per la religione.
Prima dell'incipit de La pelle, Malaparte appose la seguente dedica:
«All'affettuosa memoria del Colonnello Henry H. Cumming, dell'Università di Virginia, e di tutti i bravi, i buoni, gli onesti soldati americani, miei compagni d'arme dal 1943 al 1945, morti inutilmente per la libertà dell'Europa.»
mentre, come epigrafe al libro, utilizzò altre due frasi: una di Eschilo («Se rispettano i templi e gli Dei dei vinti, i vincitori si salveranno», riferimento critico al comportamento degli Alleati nei confronti della popolazione italiana e dei prigionieri tedeschi); l'altra di Paul Valéry.
Da inviato del giornale l'Unità, rievocò le vicende dei franchi tiratori fiorentini, che sparavano dalla sponda nord dell'Arno sugli americani per impedire loro di varcare il ponte Vecchio; si trattava di un gruppo di giovani militi della RSI, poi fucilati dai partigiani.
Il dopoguerra
«Tutti gli scrittori sono stati fascisti, nella qual cosa non vi è nulla di male. Ma perché oggi pretendono di farsi passare antifascisti, per martiri della libertà, per vittime della tirannia? Nessuno di loro, dico nessuno, ha mai avuto un solo gesto di ribellione contro il fascismo, mai. Tutti hanno piegato la schiena, con infinita ipocrisia, leccando le scarpe a Mussolini e al fascismo. E i loro romanzi erano pure esercitazioni retoriche, senza l’ombra di coraggio e di indipendenza morale e intellettuale. Oggi (...) scrivono romanzi antifascisti come ieri scrivevano romanzi fascisti; tutti, compreso Alberto Moravia, che gli stessi comunisti (...) definivano uno scrittore borghese, e perciò fascista.»
(Curzio Malaparte)
Trasferitosi a Parigi nel 1947, scrisse i drammi Du côté de chez Proust e Das Kapital, raccogliendo scarso successo. Già nel 1944 a Napoli, ma soprattutto nel dopoguerra, il suo sostanziale anarchismo (e camaleontismo) spinse Malaparte ad avvicinarsi al Partito Comunista Italiano - che gli negò per molti anni l'iscrizione; la tessera del PCI gli fu difatti consegnata da Togliatti in punto di morte. In realtà, venne ritrovata dopo la dipartita dell'autore tra le sue carte, e fu spacciata come richiesta di iscrizione da parte di Malaparte al P.C.I., mentre fu offerta da Togliatti e probabilmente spedita per posta - anziché consegnata dal segretario in persona - alla clinica dove lo scrittore era ricoverato morente, a causa della malattia che lo colpirà.
Questo cambiamento politico attirò le critiche di larga parte della cultura italiana per la disinvoltura con cui mutava l'appartenenza ideologica e politica: molti dubitarono che fosse davvero comunista, ma attribuirono tutto al suo noto comportamento istrionico e provocatorio, ai suoi atteggiamenti da dandy che amava sempre stupire, nonché al suo celebre egocentrismo e narcisismo egotistico di cui spesso venne accusato e che fece dire a Leo Longanesi: "A un matrimonio vuole essere la sposa, a un funerale il morto".
Contemporaneamente gli venne spedita anche la tessera del Partito Repubblicano Italiano, ritrovata anch'essa nelle sue carte, quasi come un ritorno alle origini.
Nel 1950 scrisse e diresse anche il film neorealista Il Cristo proibito che vinse l'anno successivo il premio Città di Berlino al Festival di Berlino. Negli anni seguenti collaborò al settimanale «Tempo» con una rubrica assai viva ("Il Serraglio", poi passata a Giovanni Ansaldo e quindi a Pier Paolo Pasolini), in uno stile toscanissimo. È stato inoltre interrottamente collaboratore del quotidiano Il Tempo dal 1946 al 1956, con corrispondenze sia dall'Italia che dall'estero.
Nel 1957 intraprese un viaggio in URSS e in Cina: qui intervistò Mao Tse-tung, chiedendo la libertà per un gruppo di preti arrestati, e la ottenne. I suoi articoli inviati dalla Cina a Maria Antonietta Macciocchi, non vennero però pubblicati su "Vie Nuove" per l'opposizione di Calvino, Moravia, Ada Gobetti e altri intellettuali, i quali avevano scritto a Togliatti una petizione perché "il fascista Malaparte" non pubblicasse su una rivista comunista.
Dovette tornare in fretta e in anticipo in Italia, a causa della malattia polmonare che lo tormentava, una pleurite cronicizzata al polmone sinistro: il materiale raccolto durante questo viaggio, sarà utilizzato per la pubblicazione postuma di Io, in Russia e in Cina nel 1958.
In quei mesi di malattia si avvicinò al cattolicesimo, anche se ci sono dubbi su un'effettiva conversione. Infatti, ricoverato alla clinica Sanatrix di Roma, dove gli venne diagnostico un carcinoma polmonare inoperabile, teneva sulla finestra immagini di tutte le religioni, da cristiane a buddhiste e venne visitato da Togliatti (con cui si fece fotografare), Fanfani, preti cattolici e molti altri. Secondo Arturo Tofanelli, Malaparte affermò ironicamente che forse poteva guarire perché non credeva «che Dio fosse così stupido da far morire Malaparte».
Curzio Malaparte morì di cancro nel luglio 1957 a Roma, a 59 anni; la malattia è stata da alcuni considerata come una conseguenza dell'intossicazione da iprite subita nel primo conflitto mondiale, degenerata anche a causa del fumo.
Ammiratore del popolo cinese, l'"Arcitaliano" Malaparte lasciò alla Repubblica Popolare di Mao Tse-Tung la proprietà di Villa Malaparte, ma gli eredi impugnarono il testamento vincendo la causa.
«Mosso da sentimenti di riconoscenza verso il popolo cinese ed allo scopo di rafforzare i rapporti tra Oriente ed Occidente istituisco una fondazione denominata "Curzio Malaparte" al fine di creare una casa di ospitalità, di studio e di lavoro per gli artisti cinesi in Capri.»
(Testamento di Malaparte)
Curzio Malaparte è sepolto in un mausoleo costruito sulla cima del Monte Le Coste chiamato dai Pratesi "Spazzavento", una collina dominante Prato, secondo le sue volontà. La frase "...e vorrei avere la tomba lassù, in vetta allo Spazzavento, per sollevare il capo ogni tanto e sputare nella fredda gora del tramontano" è riportata sulla sua tomba assieme ad un'altra che recita «Io son di Prato, m'accontento d'esser di Prato, e se non fossi nato pratese vorrei non esser venuto al mondo», entrambe tratte da Maledetti toscani. Ancora dalla sua penna fu pubblicato Benedetti italiani (1961), raccolto e curato da Enrico Falqui.
Tra le sue prese di posizione, netta è quella contro la vivisezione: lo scrittore era infatti un grande amante degli animali, come si nota dalla narrazione della fine del suo cane Febo, vittima della sperimentazione ne La pelle e nello stesso libro afferma: «Mangerei la terra, masticherei i sassi, ingoierei lo sterco, tradirei mia madre, pur di aiutare un uomo, o un animale, a non soffrire».
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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