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Giosuè Carducci
(✶1835   †1907)

Negli anni in cui fu senatore il Carducci prese solo tre volte la parola davanti all'illustre consesso. Nel 1892 difese animosamente gli insegnanti delle scuole secondarie, allora criticati da più parti. Si mostrò sensibile alla loro causa, e attaccò lo Stato che, tra promesse non mantenute e disinteresse mal celato, lasciava lavorare i professori in condizioni pessime, con stipendi ridicoli e senza sostenerli con le necessarie riforme. Riaffiora dunque la preoccupazione sempre costante, nel Carducci, per il futuro della scuola, e la sua convinzione di quanto questa istituzione rappresentasse un perno cruciale da cui dipendeva il miglioramento della società italiana.

Gli altri due discorsi tenuti in Senato furono quello di cinque anni più tardi per Candia (aprile), e quello del marzo 1899 per la convenzione universitaria di Bologna.

Nuovi soggiorni alpini, celebrazioni e La chiesa di Polenta

Proseguivano intanto le estati alpine; nel 1891 fu a Madesimo, e si narra che mentre soggiornava, come farà le numerose volte in cui vi tornerà, all'Albergo della Cascata, gli fu riferito che sarebbe arrivata la regina Margherita di Savoia alla stazione di Chiavenna: il poeta si presentò accompagnato dalla banda musicale del paese. Attese invano: era uno scherzo orchestrato dai repubblicani chiavennesi a chi un tempo era stato repubblicano ed ora era monarchico. Il 1892 lo vide a Pieve di Cadore, ad Auronzo e a Misurina, dove compose l'ode Cadore. Ovunque andasse, il Carducci si dedicava allo studio della storia e della letteratura del luogo, e così fu anche durante questo soggiorno. Raccolse le Antiche laudi cadorine e le diede alle stampe quell'anno stesso, con una prefazione di suo pugno. L'anno seguente villeggiò nei dintorni di Bologna, a Castiglione dei Pepoli, ma si recò ugualmente sulle Alpi per qualche giorno. Tornato nella città felsinea, si dedicò a due saggi sul teatro tassesco, uno avendo come soggetto il Re Torrismondo e l'altro l'Aminta. Sempre nel 1893, cominciando ad accusare la stanchezza dopo tanti anni d'insegnamento, ottenne di essere affiancato dal discepolo e amico Severino Ferrari.

Dal 1894 Madesimo assurse a rango di località di ristoro preferita, dal momento che fu scelta in cinque estati su sei, essendo il Carducci tornato a Courmayeur nel 1895.

La scena politica italiana non aveva cessato di vivere esperienze tumultuose. Alla caduta del governo Giolitti sembrava dovesse diventare Presidente del Consiglio l'onorevole Giuseppe Zanardelli, ma Umberto I si oppose incaricando Crispi di formare per la terza volta il gabinetto. La stampa dell'epoca si scagliò senza pietà contro lo statista siciliano, indignando Giosuè che non perdeva occasione di dimostrargli il proprio sostegno, scrivendo anche un'ode per il matrimonio della figlia di Crispi, avvenuto il 10 gennaio 1895, attirando su di sé critiche e polemiche, cui non mancò di replicare nella Gazzetta dell'Emilia.

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Da anni si pensava ad una grande festa per il professore, che, rinunciando nel 1887 alla cattedra dantesca capitolina, aveva dato ai bolognesi la dimostrazione d'affetto definitiva. Si era pensato al 1890, in cui cadeva il trentesimo anniversario dall'arrivo a Bologna, ma si decise di ritardare per fare le cose in grande. Alle due del pomeriggio, il 6 febbraio 1896, Carducci venne solennemente festeggiato nella sala maggiore dell'Archiginnasio, alla presenza di un pubblico molto numeroso, al cui interno c'erano naturalmente le personalità più significative della città. Parlarono in lode del Nostro il sindaco Alberto Dallolio, il preside di Lettere Francesco Bertolini, Giovanni Battista Gandino - che insegnava letteratura latina - e il sindaco di Pietrasanta, venuto a presentare l'omaggio dei borghigiani del luogo natìo.

Qualche giorno prima, il 24 gennaio, gli studenti avevano offerto a Giosuè un albo in cui si erano premurati di raccogliere i nomi di tutti gli studenti che in trentacinque anni avevano beneficiato dell'insigne guida. Nelle parole carducciane di ringraziamento è ravvisabile il manifesto della sua concezione dell'insegnamento e dell'arte:

«Da me non troppe cose certo avrete imparato, ma io ho voluto ispirar me e innalzar voi sempre a questo concetto: di anteporre sempre nella vita, spogliando i vecchi abiti di una società guasta, l'essere al parere, il dovere al piacere; di mirare alto nell'arte, dico, anzi alla semplicità che all'artifizio, anzi alla grazia che alla maniera, anzi alla forza che alla pompa, anzi alla verità ed alla giustizia che alla gloria. Questo vi ho sempre ispirato e di questo non sento mancarmi la ferma coscienza.»

Due gravi lutti colpirono il professore negli anni appresso. Il 25 agosto 1896 si spense Enrico Nencioni, della cui fraterna amicizia aveva goduto per quasi cinquant'anni, mentre due anni dopo morì improvvisamente il genero Carlo Bevilacqua, che lasciava così la Bice vedova con cinque figli. Carducci accorse nella città labronica e portò figli e nipoti a Bologna, dove provvide alla loro sistemazione e a tutte le loro necessità.

Il 5 giugno 1897 segna invece un evento positivo, foriero di conseguenze umane e letterarie. Accompagnato dall'amico e allievo sanscritista Vittorio Rugarli, Carducci viene accolto con riguardo a Villa Sylvia (a Lizzano), proprietà dei conti Giuseppe e Silvia Pasolini Zanelli, con i quali il Nostro era legato da decennale amicizia. Aveva cominciato a frequentarli nell'inverno del 1887 quando, di passaggio in Romagna, fu invitato a cenare nella loro villa di Faenza, alla presenza di Marina Baroni Semitecolo, madre di Silvia, intima di Aleardo Aleardi e vecchia conoscenza dello stesso Carducci.

Nella primavera dello stesso 1887 Giosuè aveva visitato per la prima volta la Pieve di San Donato in Polenta, a Bertinoro, dove secondo la tradizione pregarono Dante e Francesca da Polenta, immortalata nel quinto canto dell'Inferno. Nelle vicinanze sorgeva un cipresso secolare, legato dalla tradizione all'infelice moglie di Gianciotto Malatesta, che sarebbe nata a pochi metri di distanza. Accanto alla commozione ci fu per il poeta un motivo di grande dispiacere: la chiesa era in uno stato pietoso.

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L'amicizia con i Pasolini divenne ancor più salda quando negli anni novanta vennero ad abitare a Bologna. Lo stato in cui si trovava la chiesa preoccupava sia Giosuè che i Pasolini, e fu così che, in collaborazione con l'arciprete della Pieve, cominciarono a battersi perché fossero iniziati i restauri. Il campanile cadeva a pezzi e tutta la struttura andava rinnovata. Infine, grazie agli sforzi del conte Giuseppe, deputato a Cesena, e agli aiuti economici dei Pasolini e altre eminenti personalità, fu possibile procedere al restauro.

Così, il giorno successivo all'arrivo a Villa Sylvia, il 6 giugno 1897, il poeta venne accompagnato alla chiesa di Polenta. Carducci ebbe la gioia di vedere la chiesa parzialmente restaurata, e il mese successivo compose uno dei suoi testi più celebri, l'ode La chiesa di Polenta, comparsa il 15 settembre nell'Italia di Roma e stampata in opuscoletto da Zanichelli il 9 ottobre. L'eco suscitata dal componimento, in cui si chiedeva di portare i lavori a compimento, fu lo sprone decisivo per riparare anche il cadente campanile.

Il 21 luglio 1898 un fulmine abbatteva il cipresso della tradizione, suscitando nei Pasolini e nel poeta l'immediato desiderio di piantarne uno nuovo. Così, il 26 ottobre Giosuè - accompagnato tra gli altri dal fratello Valfredo, che era divenuto direttore della Scuola Normale di Forlimpopoli - si recò sul colle di Conzano, dove fu piantato l'albero e costruita una piccola arca, all'interno della quale fu posta una pergamena a celebrazione dell'evento, recante in calce la frase latina «Quod bonum felix faustumque sit», scritta dal Carducci stesso, che si rallegrò inoltre di vedere la riparazione del campanile già avviata.

Il medesimo giorno il sindaco Farini conferiva al cantore della chiesa polentana la cittadinanza bertinorese, omaggiandolo di un diploma la cui cornice era stata ricavata dal legno del cipresso abbattuto.

Gli ultimi anni di vita

Come si è visto, non aveva quindi smesso di scrivere poesie. Nel 1898 riunì pertanto tutti i componimenti successivi alle Rime nuove e alle Terze Odi barbare in un volumetto elzeviriano: Rime e Ritmi. È l'ultima raccolta, e comprende La chiesa di Polenta. La stampa fu completata il 15 dicembre, ma il libro reca come data il 1899, anno in cui scelse nuovamente Madesimo per il ristoro estivo.

Uno scritto licenziato da Alfredo Panzini per la Rivista d'Italia del maggio 1901 ci racconta come Carducci passasse le giornate durante il soggiorno, dimostrando una volta di più come i costumi carducciani siano rimasti sempre immutati (Panzini aveva raggiunto il maestro nella località lombarda). Apprendiamo che Giosuè risiedeva, come negli anni innanzi, a Villa Adele, e mangiava poi all'Albergo della Cascata, dove giungeva in ritardo rispetto agli altri commensali, in quanto costantemente impegnato nello studio. Pur avendo quasi raggiunto i 65 anni, Carducci lavorava ancora otto ore al giorno. Era stanco, ma anche stavolta riempì di oneri il periodo che si è soliti dedicare a rinfrancare la mente. Preparava una prefazione alla ristampa dei Rerum Italicarum Scriptores di Ludovico Antonio Muratori e uno studio su Alberto Mario, che sarebbe dovuto comparire nella seconda edizione dei suoi Scritti (la prima era uscita già nel 1884).

Tornato a casa, aveva praticamente portato a termine la prima fatica, ma col Mario non era riuscito ad andare avanti. La vedova Jessie chiese di poter pubblicare il volume con la sola parte proemiale già scritta e Carducci accettò. Il libro uscì nel 1901.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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