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Giosuè Carducci
(✶1835   †1907)

La mattina del 25 settembre 1899 fu colto da una nuova paralisi della mano destra; questa volta la portata dell'attacco fu maggiore e gli impedì un corretto uso delle articolazioni per alcuni mesi, tanto che, riuscendo a scrivere solo con grande fatica, dovette spesso ricorrere alla dettatura.

Ben più drammatica era la situazione dei Pasolini: dopo aver perso due figli, il 28 dicembre 1898 era morto anche Pierino, l'ultimo rimasto. Lo strazio fu in qualche modo alleviato dalle cure del poeta, che cominciò a recarsi a Lizzano con una certa frequenza. Invitato alla villa, la raggiunse assieme alla moglie Elvira nel maggio 1900. Quasi quotidianamente scendeva a Cesena per portare conforto agli sventurati genitori, che si erano stabilmente insediati nella loro villa di città, dato che dopo la morte di Pierino non avevano più osato recarsi a Lizzano. Il Carducci dette loro coraggio, e tutti insieme salirono a piangere nei luoghi dove avevano visto crescere l'amato figlio.

Carducci detterà inoltre le parole per l'erma funeraria fatta scolpire in memoria di Pierino nel cimitero di Faenza (settembre 1901). I Pasolini accoglieranno il poeta pressoché ogni anno nel suo ultimo scorcio di vita; il 1902 fu l'occasione per visitare Longiano, il 1903 lo vide recarsi a Faenza e Modigliana, nell'anno 1904 fu a Cervia e Rimini, in quello successivo a Cesenatico, Cervia, Montiano e Carpineta e nella primavera del 1906 vide per l'ultima volta Bertinoro e la pieve polentana.

Due generazioni e due poetiche si trovarono a confronto l'11 aprile 1901; Gabriele D'Annunzio era giunto a Bologna per la rappresentazione della sua Francesca da Rimini, in programma al Comunale. Per l'occasione il pescarese e Carducci si incontrarono nella redazione de Il Resto del Carlino dove fu allestito un sontuoso banchetto e i due mangiarono insieme. La famosa scena fu immortalata da una caricatura del celebre pittore locale Nasica (pseudonimo di Augusto Majani), che era solito rappresentare nei propri bozzetti i momenti più significativi della vita cittadina.

Carducci aveva intanto mantenuto la propria fedeltà nei riguardi di casa Savoia, e il rapporto con la regina era sempre rimasto cordiale, al punto che Margherita acquistò nel 1902 la biblioteca privata dello scrittore, lasciandogliene tuttavia l'utilizzo.

Nel 1904 fu costretto a lasciare l'insegnamento per motivi di salute. L'impegno svolto gli valse la stessa pensione che fu data nel 1859 al Manzoni. Gli succedette Giovanni Pascoli. Nel 1906 l'Accademia Svedese gli conferì il Premio Nobel per la letteratura, ma il poeta, già ammalato, non si recò a Stoccolma, limitandosi a ricevere in casa propria l'ambasciatore di Svezia in Italia. La morte (per cirrosi epatica) lo colse nella sua abitazione di Bologna il 16 febbraio 1907. Fu sepolto con esequie solenni alla Certosa di Bologna.

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Poetica e pensiero

L'amore per la patria al di sopra di tutto: se si comprende a fondo questo motto la poetica carducciana risulta già spiegata nelle sue linee essenziali. Si aggiunga un innato amore per il bello, per la natura, un'incondizionata adesione alla vita nelle sue espressioni più genuine, e il quadro potrà dirsi completo. Le scelte di campo contingenti, i diversi schieramenti politici e ideologici cui dovette aderire nel tempo, sono solo una conseguenza del suo carattere schietto e impermeabile a ogni forma di doppiezza, e non contengono al loro interno alcuna contraddizione.

Per questo con Carducci si ebbe una reazione al tardo romanticismo (Prati, Aleardi, Dall'Ongaro), perché il raggiungimento dell'unità nazionale richiedeva forza e virilità, non l'abbandono a svenevoli malinconie. In particolare la sua reazione vide il ritorno ai classici e la ricerca di una lingua che avesse dignità letteraria. La poetica romantica andava sempre più declinando verso una tenerezza piagnucolosa, verso il facile sentimentalismo e una sorta di languore del tutto contrari all'impetuoso temperamento carducciano, volto a ristabilire attraverso l'esempio antico un modello di società in cui regnino la giustizia e la libertà.

La poetica del Carducci non fu mai antitetica rispetto a quella romantica. L'amore per la vita, per la natura, per il bello non hanno nulla di antiromantico. Le polemiche giovanili avevano un senso nell'ottica della temperie risorgimentale, che portava il Carducci a demonizzare tutto ciò che potesse frapporsi alla riconquista della libertà che fece grande Roma e degni di imperitura gloria i Comuni italiani nel Medioevo (in questo senso va intesa l'idiosincrasia iniziale per le letterature straniere). Quando, a bocce ferme, si diede ad un'analisi puramente artistica della letteratura, imparò ad amare i grandi scrittori e pensatori francesi, i grandi poeti tedeschi, e rivalutò molti romantici, il Prati e il Manzoni in primo luogo.

Dei francesi trascurò quelli saliti alla ribalta negli anni della sua giovinezza; non si entusiasmò quindi per Taine o Flaubert, tanto per estrapolare due nomi soltanto dalla nutrita schiera di pensatori positivisti o scrittori naturalisti che avranno in Zola l'esponente più maturo e culminante. Al contrario, gli ardori carducciani portavano il giovane ad infervorarsi per gli spiriti libertari e rivoluzionari di qualche anno prima; era in autori come Hugo, Proudhon, Michelet, Blanc, Thierry o Heine (che può considerarsi francese d'adozione) che Carducci vedeva riflesse le proprie aspirazioni e i propri sogni, le proprie speranze in una società dove l'uomo possa finalmente trovare libertà e dignità.

Attraverso queste letture poté in maniera del tutto naturale innamorarsi di coloro che, a loro volta, le avevano ispirate: gli illuministi del XVIII secolo, Voltaire, Diderot e D'Alembert.

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Il sentimento della vita, con i suoi valori di gloria, amore, bellezza ed eroismo, è senza dubbio la maggior fonte d'ispirazione del poeta, ma accanto a questo tema, non meno importante è quello del paesaggio.

Un altro grande tema dell'arte carducciana è quello della memoria che non fa disdegnare al poeta vate la nostalgia delle speranze deluse e il sentimento di tutto quello che non c'è più, anche se tutto viene accettato come forma della vita stessa. La storia, però, governata da una legge imperscrutabile procede verso il meglio, ed è attraverso la lezione dei classici prima, dei Comuni medioevali e del Risorgimento poi, che il presente deve esprimere una società migliore.

La costruzione della poesia del Carducci fu di ampio respiro, spesso impetuosa e drammatica, espressa in una lingua aulica senza essere sfarzosa o troppo evidenziata. Carducci sentì vivamente il clima di fermo impegno morale del Risorgimento e volle, in un momento di crisi di valori, far rinascere quella forza interiore che aveva animato le generazioni del primo Ottocento. La ricostruzione storica per i romantici era pretesto di esortazione all'azione, mentre per lui è solo ripensamento nostalgico di un tempo eroico che ormai non c'è più (per esempio esalta la civiltà romana in Dinanzi alle terme di Caracalla o gli ideali del libero Comune medievale ne Il comune rustico. Nel componimento Nell'annuale della fondazione di Roma mostra il suo spirito retorico, come nel verso "cantici di gloria di gloria correran per l'infinito azzurro").

Carducci manifesta anche la concezione della nemesi storica, secondo cui le colpe dei tiranni sono scontate dai discendenti anche più lontani (Per la morte di Napoleone Eugenio; Miramar). Nelle Rime nuove egli contempla la natura che gli appare ora irta e selvaggia (Traversando la Maremma toscana), ora dolcemente malinconica poiché è testimone di un tempo felice oramai trascorso (Nostalgia), ora luminosa e piena di forza e serenità (Santa Maria degli Angeli).

Il suo spirito fu veramente erede del primo Romanticismo, da cui riprese l'amore della libertà, la fede pugnace negli ideali, l'esaltazione gloriosa della storia medievale, la contemplazione commossa e nostalgica della natura, il rimpianto dei sogni giovanili, la pensosa meditazione sul destino umano e sulla morte. Non manca però anche un evidente legame con la cultura del positivismo: fiducia nella ragione, nella scienza e nel progresso, negazione di ogni prospettiva metafisica ed escatologica.

Bisogna tuttavia prestare molta attenzione circa il rapporto tra Carducci e la religione. Parlare di un Carducci ateo o antireligioso sarebbe un grave errore. Dopo la formazione cattolica ricevuta in famiglia e presso gli Scolopi, il poeta assunse un atteggiamento estremamente aggressivo nei confronti della Chiesa e dei preti, ma ciò fu dovuto ad altri motivi, e potrebbe essere paradossalmente addirittura assunto a prova della sua profonda religiosità e di una naturale affinità con l'insegnamento di Cristo: insegnamento che vedeva sbeffeggiato proprio da coloro che lo predicavano.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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