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Giosuè Carducci
(✶1835   †1907)

La Chiesa era contraria alle ideologie risorgimentali e alla Rivoluzione Francese, e in virtù dell'alleanza con gli austriaci predicava una morale della rinuncia che costituiva un chiaro ostacolo sulla via dell'unità nazionale. In quanto tale Carducci, naturalmente innamorato dell'energia vitale dell'uomo, oltre che della storia d'Italia, non poté che avversarla. La missione morale e civile da lui affidata alla poesia, la necessità di conformare la propria vita a quanto predicato artisticamente e la profonda convinzione di un imperscrutabile motore della Storia (evidente più che mai nelle Odi barbare) sono però in totale sintonia con lo spirito cristiano, oltre che con gli amatissimi modelli classici.

I motivi per cui Manzoni ammirava Virgilio o Orazio erano del tutto simili, e anche se sulla pagina scritta il giovane Giosuè si scagliò contro il romantico per antonomasia, i due professavano in realtà la stessa cosa. Uno la poneva sul piano cristiano-cattolico, l'altro su quello pagano, ma gli obiettivi che si prefiggevano e che davano all'arte erano affatto sovrapponibili. Passati i fermenti storici e quelli della gioventù, lo stesso Carducci poté riconoscerlo in A proposito di alcuni giudizi su A.Manzoni (1873).

Si rese anche conto di come il furore giovanile l'avesse portato ad associare clericalismo e spiritualità, Chiesa e idea di Dio. Certo non si autodefinì mai credente nel senso tradizionale, ma ciò accadde perché gli ideali carducciani, in fondo, sono rimasti immutati durante tutta la sua esistenza, e in realtà non riuscì mai del tutto a distinguere la Chiesa dai suoi ministri. Carducci non fu mai contro il divino, contro Dio. Basti pensare alle composizioni giovanili, o, esempio ancor più lampante, alle parole rivolte nel 1889 agli studenti dell'università di Padova: «Il Dio dell'amore e del sacrificio, il Dio della vita e dell'avvenire, il Dio delle genti e dell'umanità è in noi, con noi e per noi».

Molti critici cattolici non poterono mai accettare il pensiero dell'autore dell'Inno a Satana, ed è naturale che vi siano stati attriti. Non è più possibile tuttavia accettare, per le ragioni esposte sopra, commenti drastici come quello di Paolo Lingueglia, secondo cui Carducci non ebbe mai il senso del religioso, e si accontentò di «una giustizia reboante e formale».

La critica contro corrente

Carducci fu oggetto anche di critiche molto aspre. Fra le molte, è da segnalare quella di Mario Rapisardi, repubblicano, che probabilmente non perdonò a Carducci il "tradimento" degli ideali giovanili con l'adesione alla monarchia (si veda Lettera aperta a Benedetto Croce, ed. G. Pedone Lauriel, Palermo 1915 della quale si può leggere un estratto qui Lettera aperta a Benedetto Croce).

Già durante la vita del Carducci ci furono dunque forti reazioni. Non fu molto tenero nel 1892 neanche Alfredo Oriani; il Nostro sarebbe stato professore più che poeta, avrebbe usato la testa più che il cuore, senza poter diventare il poeta del popolo, troppo distante da esso a causa di una preparazione troppo classica e aliena dalla comprensione della vita popolana reale. È ancora una polemica contenuta, pronunciata comunque da un amico che rientrerà nella nutrita schiera di coloro che, nel numero di Capodanno de il Resto del Carlino del 1905, riserveranno un pensiero affettuoso per il poeta.

Più dura ma anche più soggettiva è la critica piovuta addosso a Carducci nel 1896, quando sulla Gazzetta letteraria meneghino-torinese comparvero alcuni testi a condanna di Giosuè, firmati con lo pseudonimo di Guido Fortebracci, l'ultimo dei quali avente per titolo La necessità di averlo abbattuto (di aver abbattuto cioè il Carducci). Quello che Oriani aveva lasciato intendere viene qui detto esplicitamente: ci troviamo di fronte a un professore, non a un poeta, un professore che ha scelto per di più il momento sbagliato per manifestare i propri ardori politici (per il Fortebracci essi avrebbero avuto più senso negli anni Ottanta, in mezzo ai tumulti post-unitari, quando invece la musa carducciana tacque), condannando i colpevoli (l'autore che si cela sotto il nome di Fortebracci era certamente un cattolico) più che esaltando gli eroi del Risorgimento.

L'impostazione soggettiva e spesso non organica di questi articoli fece sì che la loro risonanza fosse piuttosto contenuta. Maggior compattezza e acume critico dimostrò invece Enrico Thovez quando nel 1910 mandò fuori un libro in cui accusava Carducci di aver deviato dalla linea maestra che Leopardi aveva tracciato per rinnovare la poesia italiana. Thovez non prova, leggendo le poesie del maremmano, alcuna emozione, trovandovi una Weltanschauung che fa parte ormai di altre epoche - mentre il recanatese era a tutti gli effetti poeta del proprio tempo -; inoltre, anche laddove si parla d'amore, «nemmeno il più acceso degli erotomani può credere che le Lidie, le Lalagi, le Dafni, le Line carducciane siano donne di carne e ossa». Manca insomma la passione, imprigionata all'interno di schemi metrici che ne impediscono una libera espressione.

Anche qui, comunque, prevale l'impronta soggettiva, e Benedetto Croce mostrò come le affermazioni del Thovez, pur acute, muovessero ancora da un'impostazione arbitraria e pretendessero di definire la poesia e la sua bellezza assecondando il proprio modo di sentire anziché fondarsi su considerazioni prettamente tecniche.

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Produzione poetica

Cronologia di alcune poesie

1865 - Inno a Satana, in opuscolo presso Società tipografica pistoiese.
1873 - Pianto antico, in Nuove poesie.
1873 - Idillio maremmano, in «Monitore di Bologna», 12 settembre.
1876 - Alle fonti del Clitumno, in «La Vedetta», 21 ottobre.
1877 -Alla stazione in una mattina d'autunno, in Odi barbare.
1878 - Davanti a San Guido, nella biografia del poeta stilata da Adolfo Borgognoni, premessa alle Poesie.
1878 - Alla Regina d'Italia, in opuscolo presso Zanichelli.
1899 - Jaufré Raudel, in Rime e ritmi.

Non è sempre facile seguire lo sviluppo della poesia del Carducci attraverso le raccolte da lui edite. Il poeta infatti organizzò più volte e in modo differente i suoi componimenti e ne diede una sistemazione definitiva solamente più tardi nell'edizione delle Opere pubblicate per Zanichelli fra il 1889 e il 1909. Qui di seguito si fornisce l'elenco delle opere poetiche pubblicate in volume, poi risistemate nei 20 volumi delle Opere.
Rime, San Miniato, Tip. Ristori, 1857.
Levia Gravia, Pistoia, Niccolai e Quarteroni, 1868.
Poesie, Firenze, Barbera, 1871 (seconda edizione, ivi, 1875; terza edizione, ivi, 1878).
Primavere elleniche, Firenze, Barbera, 1872.
Nuove poesie, Imola, Galeati, 1873 (seconda edizione, Bologna, Zanichelli, 1875; terza edizione con prefazione di Enrico Panzacchi, ivi, 1879).
Odi barbare, Bologna, Zanichelli, 1877 (seconda edizione con prefazione di Giuseppe Chiarini, ivi, 1878; terza edizione, ivi, 1880; quarta edizione, ivi, 1883; quinta edizione, ivi, 1887).
Juvenilia edizione definitiva, Bologna, Zanichelli, 1880.
Levia Gravia edizione definitiva, Bologna, Zanichelli, 1881.
Giambi ed Epodi, Bologna, Zanichelli, 1882.
Nuove odi barbare, Bologna, Zanichelli, 1882 (seconda edizione, ivi, 1886).
Rime nuove, Bologna, Zanichelli, 1887 (seconda edizione, ivi, 1889).
Terze odi barbare, Bologna, Zanichelli, 1889.
Delle Odi barbare. Libri II ordinati e corretti, Bologna, Zanichelli, 1893 (seconda edizione, ivi, 1900).
Rime e ritmi, Bologna, Zanichelli, 1899.
Poesie (MDCCCL-MCM), Bologna, Zanichelli, 1901 (seconda edizione, ivi, 1902).

Di seguito i volumi poetici nelle Opere. I volumi non corrispondono però all'ordine cronologico con il quale il poeta aveva pubblicato le prime raccolte, ma fanno riferimento più che altro a distinzioni di generi e pertanto troviamo poesie di uno stesso periodo in raccolte diverse. Le raccolte seguono questo ordine:
Juvenilia in sei libri (1850-1860)
Levia Gravia in due libri (1861-1871)
Inno a Satana (1863)
Giambi ed Epodi in due libri (1867-1879)
Intermezzo (1874-1887)
Rime Nuove in nove libri (1861-1887)
Odi barbare in due libri (1873-1889)
Rime e Ritmi (1889- 1898)
Della Canzone di Legnano, parte I (Il Parlamento) (1879)

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Juvenilia

La prima raccolta di liriche, che lo stesso Carducci raccolse e divise, dal titolo significativo Juvenilia (1850-1860), composta da sei libri, ha indubbiamente il carattere di un recupero della tradizione classica proprio del gruppo degli Amici pedanti che si era costituito in quel periodo con il proposito di combattere i romantici fiorentini. Nei versi della raccolta si coglie subito l'imitazione dei classici antichi, dello stilnovo, di Dante e di Petrarca e, tra i moderni, soprattutto quella di Alfieri, Monti, Foscolo e Leopardi.

Si intravede però già lo spirito carducciano, il suo amore per la bellezza dello stile, la purezza dei sentimenti e la dignità della patria, oltre che la capacità di apprezzare tutto ciò che è genuino, quindi anche la parlata popolare.

In seguito a questa prima esperienza il Carducci, che nel frattempo aveva allargato i suoi orizzonti culturali con le letture di Hugo, Barbier, Shelley, Heine e Von Platen, assorbe le esperienze della poesia romantica europea e le ideologie di tutti quei movimenti democratici nati dalla Rivoluzione francese diventando acceso repubblicano e mazziniano. Nasceranno in questo periodo di grande fervore ideologico Giambi ed Epodi che seguono il noto Inno a Satana e si intrecciano con le poesie di Levia Gravia.

Levia Gravia

Nella seconda raccolta, Levia Gravia (1861-1871), che accosta nel titolo due plurali senza congiunzioni come era nell'uso classico, vengono raccolte poesie di poca originalità, di imitazione e spesso scritte per particolari occasioni secondo l'uso della retorica.

In molte di queste poesie si avverte la delusione di chi ha visto il compiersi dell'unità d'Italia. Tra le poesie maggiormente riuscite vi è Congedo, dove si vive lo stato d'animo nostalgico di chi ha visto la giovinezza tramontare, mentre importante dal punto di vista storico è Per il trasporto delle reliquie di U. Foscolo in S. Croce e politicamente significativo il canto Dopo Aspromonte, dove viene celebrato un Garibaldi ribelle e fiero.

Giambi ed Epodi

La raccolta intitolata Giambi ed Epodi (1867-1879) viene citata dalla critica come il libro delle polemiche. In essa, pur non essendoci ancora la vera poesia carducciana, si coglie tutta la passione del poeta e vi sono tutti, anche se non ancora affinati, i temi della sua poesia. Si avverte nel titolo il desiderio di riproporre l'antica poesia polemico-satirica, come quella greca di Archiloco e quella latina di Orazio che nel suo Libro di epodi si ispira al poeta-soldato.

In Giambi ed Epodi vi è l'esaltazione dei grandi ideali di libertà e giustizia, il disprezzo per i compromessi dell'Italia unificata, la polemica contro il papato e contro molti aspetti di costume della vita italiana.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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