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Giosuè Carducci
(✶1835 †1907)
La consacrazione letteraria
Piano piano riuscì a riprendersi, usando le armi consuete: quelle dello studio e dell'insegnamento. Il 1º marzo 1872 la casa sarà poi allietata dalla nascita dell'ultima figlia, Libertà, che verrà sempre chiamata Tittì. Il Barbera intanto propose a Carducci di pubblicare un libro che raccogliesse tutte le poesie, dalle prime alle più recenti. Giosuè accettò, e nel febbraio 1871 apparvero le Poesie, suddivise in tre parti: Decennali (1860-1870), Levia Gravia (1857-1870) e Juvenilia (1850-1857). Nei Decennali confluirono le poesie politiche, ad eccezione di quelle precedenti a Sicilia e la Rivoluzione (così volle l'autore), mentre le altre due sezioni riproducevano sostanzialmente i testi del volume pistoiese.Continuò poi con la composizione di giambi (Idillio Maremmano il più celebre) ed epodi, sonetti (Il bove) e odi, unendovi la traduzione di composizioni di Platen, Goethe ed Heine mantenendone il metro originale. Questi e altri testi andarono a formare nel 1873 le Nuove poesie, 44 componimenti editi dal Galeati di Imola, inglobanti anche le Primavere elleniche che l'anno prima il Barbera aveva licenziato in un volumetto.
Il libro non risparmiava critiche dirette a uomini politici, e suscitò forti reazioni. Bernardino Zendrini e Giuseppe Guerzoni scrissero su Nuova Antologia e sulla Gazzetta Ufficiale articoli contro le Nuove Poesie, cui fece seguito la reazione carducciana sulle colonne de La voce del popolo, comprendente sette capitoletti di Critica e arte, saggio che entrerà a far parte dei Bozzetti critici e dei Discorsi letterari editi dal Vigo nel 1876. Nel complesso, però, l'Italia ne riconobbe il valore. Ancora maggiori furono i consensi provenienti dall'estero. L'editore della Revue des Deux Mondes e addirittura Ivan Sergeevič Turgenev ne chiesero una copia, ed entusiastiche approvazioni arrivarono dal mondo germanico. La prima edizione fu subito esaurita e portò a esaurire anche quella delle Poesie edite da Barbera, il quale diede di queste ultime nuove edizioni nel 1874, 1878 e 1880, con la presenza nelle ultime due di una biografia del poeta scritta da Adolfo Borgognoni.
In quegli anni non era possibile, per i letterati della città, non fare una tappa alla libreria Zanichelli. Il Carducci incominciò a frequentarla quotidianamente, nelle passeggiate che faceva prima di cena dopo un pomeriggio di studio o di lezioni universitarie. Nicola Zanichelli voleva avviare una casa editrice, e si fece promettere dal nuovo avventore uno studio sulle poesie latine dell'Ariosto, dato che, con un anno di ritardo, nel 1875 si sarebbe celebrato a Ferrara il quattrocentesimo anniversario della nascita del poeta reggiano. Iniziò così una collaborazione molto duratura. Nell'aprile 1875 Zanichelli pubblicò la seconda edizione delle Nuove Poesie, e il mese successivo il promesso studio ariostesco.
Dopo le Nuove poesie però il Carducci voleva abbandonare la poesia sociale e tornare al primo amore: la classicità. «Alle mie odi barbare pensai fin da giovane; ne formai il pensiero dopo il 1870, poi ch'ebbi letti i lirici tedeschi. Se loro, perché non noi? La prima pensata in quella forma e scrittene subito le prime strofi è All'Aurora; la seconda tutta di seguito è l'Ideale». È un tuffo nel passato affrontato tuttavia con le armi di chi si è creato negli anni una precisa identità e non ha quindi intenzione di procedere a una pedissequa imitazione. Stimolato dall'esempio dei poeti tedeschi Carducci volle dimostrare che la poesia italiana poteva non solo riprendere le tematiche dei greci e dei latini, ma mantenerne il metro. Klopstock aveva riproposto in tedesco l'esametro latino, Goethe aveva risuscitato le forme greche, e la scuola teutonica si credeva la sola capace dell'impresa, in quanto le lingue romanze si erano allontanate troppo, attraverso la corruzione linguistica medievale, dal modello originario. Theodor Mommsen giurava che in italiano una simile operazione non fosse possibile.
Tutto ciò non poteva che spronare Giosuè a tentare: «Non so perché quel che egli fece col duro e restio tedesco, non possa farsi col flessibile italiano», scriverà a Chiarini nel 1874 riferendosi alle Elegie romane del Goethe e allegando l'asclepiadea Su l'Adda, scritta l'anno precedente.
Nel 1873, quindi, uscirono dalla sua penna i primi componimenti di questo tipo, le prime Odi barbare, che avranno una prima edizione presso Zanichelli nel luglio 1877, e in concomitanza con Postuma di Lorenzo Stecchetti inaugureranno la famosa «Collezione elzeviriana». In Su l'Adda l'asclepiadea viene resa in quartine con due endecasillabi e due settenari, uno sdrucciolo e uno piano, e qualche mese dopo compirà All'Aurora - pensata e cominciata prima delle altre -, in distici elegiaci, e l'alcaica Ideale. Per il distico, ora e in seguito, riesce a trasportare l'esametro e il pentametro nella poesia italiana combinando un settenario e un novenario per il primo, un senario sdrucciolo e un settenario piano per il secondo, mentre l'alcaica presenta due endecasillabi seguiti da un novenario e un decasillabo. Del 1875 sono le quattro quartine della saffica Preludio (la strofa saffica è costituita da tre endecasillabi e un quinario), concepita, come dice il titolo, come poesia introduttiva all'intera raccolta.
Le quattordici odi dell'edizione zanichelliana sono un vero e proprio manifesto della concezione carducciana del mondo, della storia, della natura. Gli eventi del passato non hanno potuto sconvolgere l'Adda che continua a scorrere ceruleo e placido (Su l'Adda), mentre «su gli alti fastigi s'indugia il sole guardando/ con un sorriso languido di viola». La natura continua imperturbabile il proprio corso, attraverso le aurore e i tramonti che costituiscono lo sfondo prediletto della raccolta.
La storia, però, funge da maestra per i costumi degradati del presente che possono risollevarsi solo attraverso il maestoso insegnamento di un passato rievocato come una fusione della storia nella natura, spoglio ormai delle proprie componenti truci o barbare e materia prima della poesia, e come nel canto di Demodoco le fiamme di Ilio non bruciano più, ma vengono trasfigurate dal canto, che con totale serenità esplica la propria potenza, come una nave - leitmotiv della raccolta - che pacificamente risale la corrente del tempo.
Non c'è quindi più furia politica in Carducci, non c'è rabbia né critica sociale. Le odi attaccano il cattolicesimo, esaltano l'impero romano ed esprimono la visione politica carducciana, ma essa perde la carica polemica precedente. Le odi si fissano su un particolare attuale - l'Adda che scorre, il sole che illumina il campanile della Basilica di San Petronio, il poeta che contempla le terme di Caracalla - per rievocare gli eventi storici trascorsi, e si chiudono nuovamente in una contemplazione solenne della natura, mentre il passato ormai andato non è più fonte di angoscia come in Leopardi, ma canto sempre attuale. La storia è regolata da un principio preciso e incontrovertibile.
I modelli non possono che essere Omero, Pindaro, Teocrito, Virgilio, Orazio, Catullo, accanto a cui agiscono Dante, Petrarca, Foscolo, cui vengono fatti rimandi testuali piuttosto espliciti e seguiti anche nel frequente uso dell'inversione sintattica caro alla lingua latina.
Le Odi, all'inizio, si scontrarono con lo scetticismo generale e presso il grande pubblico, voglioso di una poesia "leggera" dopo i recenti duri trascorsi storici, furono offuscate proprio dallo stile lineare e dal lessico semplice di Postuma. Non v'era un'immagine, nelle poesie dello Stecchetti, che non fosse chiara a tutti, né mancava certa licenziosità che attraeva il pubblico. Negli anni compresi tra il 1878 e il 1880 Postuma ebbe sette edizioni, mentre le Barbare si fermarono a tre, e se furono lette e vendute è da ascriversi all'ormai indiscussa fama del loro autore.
Se è vero che Gaetano Trezza e Anton Giulio Barrili le lodarono, è da dire come la prima reazione della critica fu anche più severa di quella del pubblico. Il Carducci fu attaccato e stroncato da tutte le parti. Passata la tempesta, però, il valore dell'opera fu riconosciuto, e lo stesso Guerrini dovette apprezzarla dato che si dilettò poi anch'egli a restituire nei suoi componimenti la versificazione latina.
Carducci però viveva un periodo affatto particolare, e le polemiche non turbavano più molto il proprio animo acceso e focoso. Aveva qualcosa che riempiva la sua esistenza, qualcosa di insperato e insospettato fino ad allora:
«Lidia su'l placido
fiume, e il tenero amore,
al sole occiduo naviga.»
(Su l'Adda, vv.2-4)
Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera
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