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Giosuè Carducci
(✶1835   †1907)

L'amore con Carolina Cristofori Piva

Nel 1871 Maria Antonietta Torriani e Anna Maria Mozzoni percorrevano da Nord a Sud la penisola promuovendo l'emancipazione femminile e tenendo conferenze nelle città più importanti. Erano donne giovani e molto istruite. A Genova furono ospiti di Anton Giulio Barrili e da questi presentate a Francesco Dall'Ongaro, che le mise a sua volta in contatto con Giuseppe Regaldi e quindi con l'ambiente bolognese. A Bologna le due donne cercarono di avvicinare i due poeti del momento. Uno, Enrico Panzacchi, furoreggiava con versi galanti e conquistava facilmente le donne, frequentando da vero viveur la vita mondana della città, l'altro, il Carducci, era tutto casa e lavoro, e gravava attorno a lui un'aura di inavvicinabilità. Dopo aver tenuto la conferenza, la Mozzoni tornò a Milano, mentre la Torriani rimase e intrecciò una fugace relazione con Panzacchi. Al tempo stesso fu però stupita dall'affabilità di Carducci, gentilissimo con le donne e ben diverso dall'immagine che le era stata dipinta. Fu lei a parlargli di una sua cara amica, Carolina Cristofori (1837-1881), già madre di tre figli e appassionata lettrice dei versi del vate versiliese. Carolina, nativa di Mantova, aveva sposato nel 1862 l'ex colonnello e poi generale di brigata garibaldino Domenico Piva, uno dei Mille, ed era donna di grande cultura e delicata sensibilità, così come delicata era anche la sua salute.

Il 27 luglio Carducci ricevette da Carolina una lettera di ammirazione cui erano allegati dei versi e un ritratto. Il poeta, lusingato, iniziò con lei un fitto scambio epistolare, e scriveva contemporaneamente anche alla Torriani, dedicando versi a entrambe, Autunno romantico a Maria, la seconda Primavera Ellenica (la Dorica; più avanti anche la terza, l'Alessandrina) a Carolina, che a Milano - dove viveva la maggior parte dell'anno, in via Stella - frequentava il salotto di Clara Maffei facendo conoscere il nome di Giosuè ed esaltandovi Foscolo, il suo poeta prediletto.

Lo scambio che più lo stimolava erà però quello con Carolina, sempre più frenetico e sempre più esplicito, finché il 9 aprile 1872 la conobbe di persona a Bologna e il 5 maggio la rivide a Milano. Nello stesso anno Carducci si recò ancora a trovarla in ottobre e in dicembre e il rapporto sfocerà in una relazione amorosa. Le lettere rivelano un Carducci pienamente innamorato e dolce, alle prese con una esperienza affatto nuova che lo pone in pace col mondo, e la Piva corrispondeva con uguale sentimento. Nell'estate 1872 passarono indimenticabili giorni insieme; ai primi di luglio risalirono l'Adda presso Lodi con una barchetta mentre a Brescia Lina depose un fascio di fiori ai piedi della Vittoria alata. I due momenti ispirarono le Barbare Su l'Adda e Alla Vittoria. A lei, «bello ed unico pensier d'estetica viva e reale», materializzazione del proprio ideale classico di bellezza, continuava a scrivere e a dedicare versi, e dopo averla sempre chiamata Lina, passò in poesia a rivolgerlesi con un più oraziano Lidia.

La relazione culminerà nel 1873 con la nascita di Gino Piva, ritenuto figlio legittimo del generale garibaldino Domenico Piva. Carducci, tuttavia, nutriva una profonda gelosia per l'amico Panzacchi che era in confidenza con la Piva e che con lei (dopo che con la Torriani) aveva avuto dei trascorsi. Si arrivò addirittura al punto in cui Carducci ruppe con Panzacchi e gli rimandò indietro i suoi libri. Panzacchi, invece, non fece altrettanto, nutrendo una vera e propria venerazione per il vate: con il tempo il dissidio si placò.

Più avanti Carducci vivrà un'altra relazione extra-coniugale: conobbe nel 1890 la scrittrice Annie Vivanti e con lei instaurò una relazione sentimentale.

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Poeta nazionale

Dopo sedici anni nella modesta residenza di via Broccaindosso il poeta, raggiunta ormai la fama, desiderava per sé e per la famiglia una dimora più decorosa; oltretutto i libri, che erano andati progressivamente occupando gli spazi dell'abitazione, erano diventati davvero troppi e non si sapeva più dove metterli. Nel 1876 quindi i Carducci traslocarono in Strada Maggiore a Palazzo Rizzoli, un edificio signorile dalle volte a crociera con un cortile interno abbellito da colonne corinzie. Il poeta occupò il terzo piano, rimanendovi quattordici anni.

Nella sessione elettorale del 19 novembre fu eletto deputato al Parlamento per il Collegio di Lugo di Romagna, su richiesta dei cittadini. Non essendo però stato sorteggiato tra coloro che dovevano andare a Montecitorio, fu un ruolo fondamentalmente onorifico che non gli tolse tempo da dedicare alle consuete occupazioni. Era, quello politico, un mondo ben lontano dalle idealità del Carducci, ma la sua adesione va letta nel senso di una spontanea e per certi versi ingenua volontà di dare il proprio contributo al miglioramento della società civile.

Di questi anni è l'ampia produzione poetica che verrà raccolta in Rime Nuove (1861-1887) e in Odi barbare (1877-1889). Proseguì l'insegnamento universitario e alla sua scuola si formarono personalità come Giovanni Pascoli, Severino Ferrari, Giuseppe Albini, Vittorio Rugarli, Adolfo Albertazzi, Giovanni Zibordi, Niccolò Rodolico, Renato Serra, Ugo Brilli, Alfredo Panzini, Manara Valgimigli, Luigi Federzoni, Guido Mazzoni, Gino Rocchi, Alfonso Bertoldi, Flaminio Pellegrini ed Emma Tettoni.

Nel 1873 pubblicò A proposito di alcuni giudizi su A. Manzoni e Del rinnovamento letterario d'Italia. Nel 1874, fece pubblicare la prima edizione a stampa dell'opera di Leone Cobelli, storico del XV secolo, le "Cronache Forlivesi", di cui aveva curato l'edizione insieme ad Enrico Frati.

Il 1877 privò Carducci di due cari amici; in maggio morì il suocero Francesco Menicucci, mentre in giugno, nel corso di una visita a Seravezza con Chiarini, salutò con profonda commozione Francesco Donati, malato e conscio di non aver più molto da vivere. Non sopravvisse un mese a quello straziante incontro, spegnendosi il 5 luglio. Lo stesso mese (poi anche in ottobre) fu commissario per gli esami di licenza liceale a Perugia, rimanendo colpito da una gita ad Assisi. I due soggiorni umbri partorirono il sonetto Santa Maria degli Angeli - dedicato a san Francesco - e il Canto dell'Amore.

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Nel novembre 1878 Bologna era in subbuglio. Il 4 novembre arrivarono in visita i reali d'Italia Umberto I e Margherita di Savoia, accolti da una folla festante nella stessa città che dieci anni prima aveva riservato loro un ostile trattamento. Carducci, in mezzo alla calca, vide nella giornata uggiosa passare Margherita «come una imagine romantica in mezzo una descrizione verista», bionda e bella. La regina era un'ammiratrice dei suoi versi, in particolare delle Odi barbare. Il ministro Giuseppe Zanardelli soleva ripetere a Carducci che Margherita l'aveva accolto declamando l'ode Alla Vittoria a memoria, e aveva proposto di insignire il vate con la croce al merito di Savoia, che il poeta rifiutò.

Margherita volle che Carducci le fosse presentato, e così il 6 novembre mentre da una parte il re salutava alcuni visitatori e Benedetto Cairoli contemplava soddisfatto la scena, egli la vide: «Troneggiava ella da vero in mezzo la sala... Riguardava a lungo, con gli occhi modestamente quieti ma fissi; e la bionda dolcezza del sangue sassone pareva temperare non so che, non dirò rigido, e non vorrei dire imperioso, che domina alla radice della fronte; e tra ciglio e ciglio un corusco fulgore di aquiletta balenava su quella pietà di colomba».

Incantato da tanta finezza e dalle parole di lode ricevute nel colloquio, ancora dieci giorni dopo parlava dell'evento con Luigi Lodi, che gli suggerì di scrivere alla sovrana un'ode. Il giorno successivo, 17 novembre, Carducci mise in atto il progetto componendo l'alcaica Alla regina d'Italia, e proprio mentre completava la poesia la figlia Bice entrò ad avvisarlo dell'attentato di Giovanni Passannante a Umberto durante una parata reale a Napoli. Venne accusato di essersi convertito alla monarchia, suscitando quindi forti polemiche da parte dei repubblicani, che lo consideravano ormai poeta del proprio partito. Particolarmente duro fu l'articolo di Arcangelo Ghisleri su La rivista repubblicana, in cui manda il Nostro «a scuola di dignità dal Foscolo». La perseveranza rincarò la dose, e buona parte del popolo antimonarchico non capì le ragioni carducciane, suscitando in Giosuè un profondo disprezzo per la «vil maggioranza».«Ora perché ella è regina e io sono repubblicano, mi sarà proibito d'essere gentile, anzi dovrò essere villano?... ora non sarà mai detto che un poeta greco e girondino passi innanzi alla bellezza e alla grazia senza salutare».

Carducci non rinnegò la propria fede repubblicana, e in verità egli non ebbe mai una fede politica che si traducesse in ideologie di partito: la nota sempre costante del suo credo fu l'amore per la patria. Con il lungo articolo Eterno feminino regale, dato alle stampe dalla Cronaca bizantina il 1º gennaio 1882, cercò di chiarire questi concetti.

Seguitò a comporre odi barbare e, quando Ferdinando Martini fondò a Roma nel 1879 il Fanfulla della domenica, settimanale che per due anni e mezzo offrì ai lettori il meglio del panorama letterario italiano, grazie alla guida intelligente del fondatore, il sodalizio col giornale fu particolarmente stretto, tanto che le barbare Alla Certosa di Bologna, Pe'l Chiarone, La madre, Sogno d'estate, Una sera di san Pietro e All'aurora videro la luce sul giornale del Martini, assieme ad altre sei poesie. Sul Fanfulla trovarono spazio alcune prose e la famosa polemica tibulliana con Rocco de Zerbi.

Il 20 settembre 1880 la figlia primogenita Beatrice sposò il professor Carlo Bevilacqua (1849-1898, da lui avrà cinque figli), e Carducci compose un'ode a celebrazione dell'avvenimento. La famiglia del genero del poeta possedeva una villa e vasti appezzamenti di terra alla Maulina, nel lucchese. Giosuè vi si recò nell'agosto 1881 per conoscere i parenti di Bevilacqua e, trovatosi benissimo in un ambiente rustico e semplice, vi tornò nei due anni successivi per trascorrere una parte del periodo autunnale.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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