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Giovanni Boccaccio
(✶1313   †1375)

L'erudizione "didattica" e l'umiltà del Boccaccio
Al contrario del maestro Petrarca, Boccaccio cercò sempre di fornire un'utilità pratica alle sue opere umanistiche di carattere erudito. Sia nelle Genealogie sia nel De montibus, infatti, Boccaccio ebbe come scopo quello di fornire dei prontuari enciclopedici volti a conservare il patrimonio della cultura classica e a trasmetterlo alla posterità. Nel caso del Proemio dei libri delle Genealogie, rivolgendosi al destinatario dell'opera, Ugo IV di Lusignano, Boccaccio espresse tale proposito con grande umiltà, dopo aver ricordato la sua inadeguatezza nell'adempiere questo compito, ricordando il valore intellettuale di Petrarca:

«Iussu igitur tuo, montanis Certaldi cocleis et sterili solo derelictis, tenui licet cimba in vertiginosum mare crebrisque implicitum scopulis novus descendam nauta, incertus, num quid opere precium facturus sim, si omnia legero litora et montuosa etiam nemora, scrobes et antra, si opus sit, peragravero pedibus, ad inferos usque descendero, et, Dedalus alter factus, ad ethera transvolavero; undique in tuum desiderium, non aliter quam si per vastum litus ingentis naufragii fragmenta colligerem sparsas, per infinita fere volumina deorum gentilium reliquias colligam, quas comperiam, et collectas evo diminutas atque semesas et fere attritas in unum genealogie corpus, quo potero ordine, ut tuo fruaris voto, redigam.»

«Per tuo comandamento adunque, lasciati i sassi dei monti di Certaldo et lo sterile paese, con debile barchetta in un profondo mare, pieno di spessi scogli, come novo nocchiero entrerò, dubbioso veramente che opra io mi sia per fare, se bene leggerò tutti i liti, i montuosi boschi, gli antri et le spelonche, et se sarà bisogno caminar per quelli et discender fino all’Inferno. Et fatto un altro Dedalo, Secondo il tuo disio volelerò per insino al cielo; non altramente che per un vasto lido raccogliendo i fragmenti d’un gran naufragio, così raccorrò io tutte le reliquie che troverò sparse quasi infiniti volumi dei Dei gentili; et raccolte et sminuite, et quasi fatte in minuzzoli, con quel ordine ch’io potrò, acciò che tu habbi il tuo disio, in un corpo di Geneologia le ritornerò.»
(Genealogie deorum gentilium, Proemio Libro I; per la traduzione De Geneologia Deorum, tradotta et adornata per Messer Giuseppe Betussi da Bassano, 1547)
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Lo stesso proposito è proprio del prontuario geografico De montibus, ove sottolinea i possibili punti di "debolezza" dovuti agli errori e alle imprecisioni causate dalla sua ignoranza, ricordando ai lettori di intervenire, qualora si dovessero accorgere di tali mancanze:

«Quod si correctioribus libris quam quos viderim usi lectores advertant, sint, queso, ad indulgentiam faciles et emendent.»

«E se ho visto libri più corretti di quelli che si utilizzano, i lettori se ne accorgano e, per carità, siano inclini all'indulgenza e li correggano.»
(De montibus, conclusione)

Critica letteraria

Italia

Boccaccio ebbe già un'enorme successo già a partire dalla sua scomparsa. Nella Firenze umanistica, che era debitrice profondamente della lezione filologica impartita dal Boccaccio ai suoi giovani allievi nel circolo di Santo Spirito, la figura del Certaldese è ricordata con affetto e venerazione, come si può notare già dall'epistolario di Coluccio Salutati o dalla Vita di Giannozzo Manetti, delineando, insieme alle biografie di Dante e Petrarca scritte da Leonardo Bruni, il culto delle «tre corone fiorentine». Dopo aver goduto di grande successo anche presso l'umanesimo "volgare" (Lorenzo de' Medici elogiò come grande opera il Decameron) La consacrazione, però, giunse nel 1525, allorché il futuro cardinale e poeta italiano Pietro Bembo, con le sue Prose della volgar lingua, delineò come modello prosaico il Decameron:

«Ma quante volte aviene che la maniera della lingua delle passate stagioni è migliore che quella della presente non è [...] e molto meglio faremo noi altresí, se con lo stile del Boccaccio e del Petrarca ragioneremo nelle nostre carte, che non faremo a ragionare col nostro, perciò che senza fallo alcuno molto meglio ragionarono essi che non ragioniamo noi.»
(Pietro Bembo, Prose della volgar lingua I, XIX)

Se la fortuna della lirica petrarchesca durerà fino al XIX secolo, dando il via al fenomeno del petrarchismo, Boccaccio invece subì una netta condanna da parte del Concilio di Trento, per via dei contenuti "immorali" presenti in molte novelle, ove il Certaldese mise a nudo vizi e difetti del clero: tra il 1573 e il 1574 il filologo e religioso Vincenzio Borghini compì una vera e propria emendatio morale del Decameron, che nel contempo permise all'opera di salvarsi dalla distruzione totale. Soltanto con l'inizio dell'età contemporanea (e della laicizzazione della società), il Boccaccio del Decameron iniziò ad essere riconsiderato dalla critica, nonostante alcune timide rivisitazioni ci fossero già state nel corso del XVIII secolo.

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Il giudizio favorevole di Ugo Foscolo e di Francesco De Sanctis prima, e di Vincenzo Crescini poi, diede inizio ad una fiorente stagione di studi letterari che, nel corso del XX secolo, culminò con gli studi filologici di Vittore Branca, di Carlo Dionisotti di Giuseppe Billanovich, tesi a dare un'immagine più reale a quella "boccaccesca" affibiatogli negli ultimi secoli. Contini, al contrario, si pone in contrasto con quest'ottimismo critico-letterario, rimarcando i limiti della prosa boccacciana.

Europa

Il propagamento del Decameron, secondo quanto ebbe a dire Branca, «è più europeo che italiano»: la diffusione che l'opera ebbe in Francia, in Spagna, in Germania e, soprattutto, in Inghilterra, fu senza precedenti. Nel mondo anglosassone, infatti, Boccaccio fu più di un semplice modello: fu l'ispiratore della pietra miliare che ispirò il primo grande letterato e poeta inglese Geoffrey Chaucer, autore de I racconti di Canterbury, che si strutturano allo stesso modo sia dal punto di vista del genere letterario sia dal punto di vista contenutistico. Il successo di Boccaccio in Europa non fu legato, però, soltanto al Decameron, ma anche a quelle opere considerate come "minori", come il De casibus virorum illustrium, il Filocolo e, presso gli eruditi, le enciclopediche latine.

Il rapporto con Dante e Petrarca

Discipulus e praeceptor: Boccaccio e Petrarca

Premesse
In tutta la sua vita Boccaccio vide nel Petrarca un preceptor, capace di risollevarlo dai peccati della carne tramite la letteratura classica e la spiritualità agostiniana, giungendolo a considerarlo come una vera e propria guida spirituale. Da parte sua l'intellettuale aretino nutriva ancora una sorta di distacco intellettuale dal suo affettuoso amico, benché lo considerasse l'unico ad «essergli compagno nella titanica impresa culturale che stava compiendo».

Infatti, Petrarca non permise mai a Boccaccio di accedere del tutto alla sua biblioteca personale, mentre il secondo gli procurava rari codici contenenti opere latine e le versioni dal greco curate da Leonzio Pilato. Era un rapporto ambiguo, che emerge anche dalle ultime quattro Seniles, quando Petrarca, irritato dall'eccessiva preoccupazione di Boccaccio per la sua salute, decise di tradurre l'ultima novella del Decameron, Griselda, in latino, per dimostrare ancora il suo vigore. Non si può considerare il rapporto fra i due come un rapporto di “sudditanza psicologica” del Boccaccio nei confronti del Petrarca, quanto invece una «rivendicazione orgogliosa della parte da lui sostenuta perché si affermasse il progetto globale concepito dal Petrarca».

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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