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Pier Paolo Pasolini
(✶1922   †1975)

Fu appurato che l'anello di cui parlava il Pelosi gli andava stretto, tanto che al momento dell'arresto il giovane aveva ancora il segno dello stesso sul dito al quale abitualmente lo indossava, e pertanto i sostenitori del complotto ritengono impossibile che il monile gli fosse scivolato nel corso della colluttazione. I proprietari della trattoria Biondo Tevere, di cui Pasolini era cliente abituale, furono sentiti pochissime ore dopo l'identificazione del corpo ed entrambi descrissero il giovane con cui Pasolini s'era presentato la sera del delitto come "alto almeno 1,70 e forse di più, con capelli lunghi e biondi, pettinati all'indietro", ovvero completamente diverso da Pelosi, che era assai più basso, tarchiato e con folti capelli neri e ricci, secondo la moda dell'epoca.

Due settimane dopo il delitto, apparve un'inchiesta su L'Europeo con un articolo di Oriana Fallaci, che ipotizzava una premeditazione e il concorso di almeno altre due persone. Un giornalista dell'Europeo ebbe alcuni colloqui con un ragazzo che, tra molte esitazioni ed alcuni momenti di isteria, avrebbe dichiarato di aver fatto parte del gruppo che aveva massacrato il poeta; il giovane tuttavia, dopo una iniziale collaborazione avrebbe rifiutato di proseguire oltre o fornire altre informazioni, dileguandosi dopo aver lasciato intendere di rischiare la vita confessando la propria partecipazione e concludendo che non sarebbe stata intenzione del gruppo uccidere il poeta, ma che si sarebbe trattato di una rapina degenerata, concludendo "je volevamo solà er portafoglio" ("volevamo rubargli il portafoglio). Diversi abitanti delle numerose abitazioni abusive esistenti in via dell'Idroscalo confidarono in seguito alla stampa di aver sentito urla concitate e rumori - indizio della presenza di ben più di due persone sul posto - ed invocazioni disperare di aiuto da parte del Pasolini la notte del delitto, ma senza che alcuno fosse intervenuto in suo soccorso. Sembra che la zona non fosse ignota al Pasolini, che già varie volte vi si era recato con altri partner e addirittura, stando a quanto la Fallaci affermò, avrebbe talvolta affittato per qualche ora una delle abitazioni del posto per trascorrervi momenti di intimità.

Enzo Siciliano, amico dello scrittore, ha scritto una sua biografia, nella quale sostiene che il racconto dell'imputato presentava delle falle, fra l'altro, perché il bastone di legno - in realtà, una tavoletta di legno utilizzata precariamente per indicare il numero civico e l'abitazione di una delle baracche - a lui sembrava marcita per l'umidità e troppo deteriorata per costituire l'arma contundente che aveva causato le gravissime ferite riscontrate sul cadavere del poeta e rimarcando l'impossibilità, per un giovane minuto come il Pelosi, di sopraffare un uomo agile e forte come Pasolini senza presentare né tracce della presunta lotta, né macchie di sangue sulla sua persona o sugli indumenti.

Il film Pasolini, un delitto italiano, di Marco Tullio Giordana, uscito nel ventennale del delitto, è sceneggiato come un'inchiesta e arriva alla conclusione che Pelosi non fosse solo. Lo stesso Giordana però ha precisato, in un'intervista al Corriere della sera, che non intendeva sostenere a tutti i costi la matrice politica nel delitto. Ha dichiarato inoltre di non escludere altre possibilità, per esempio quella di un incontro omosessuale di gruppo degenerato in violenza.

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Quasi a suffragare i dubbi degli scettici, Pelosi, dopo aver mantenuto invariata la sua assunzione di colpevolezza per trent'anni, fino al maggio 2005, a sorpresa, nel corso di un'intervista televisiva, ha affermato di non essere l'esecutore materiale del delitto di Pier Paolo Pasolini, e ha dichiarato che l'omicidio era stato commesso da altre tre persone, giunte su una autovettura targata Catania, che a suo dire parlavano con accento "calabrese o siciliano" e, durante il massacro, avrebbero ripetutamente inveito contro il poeta gridandogli " jarrusu" (termine gergale siciliano, utilizzato in senso dispregiativo nei confronti degli omosessuali). Ed infatti, era giunta a suo tempo alle autorità una lettera anonima in cui si affermava che, la sera della morte di Pasolini, la sua auto era stata seguita da una Fiat 1300 targata Catania di cui erano indicate le prime quattro cifre, ma nessuno si preoccupò mai di effettuare una verifica presso il PRA. Ha poi fatto i nomi dei suoi presunti complici solo in un'intervista del 12 settembre 2008 pubblicata sul saggio d'inchiesta di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza "Profondo Nero" (Chiarelettere 2009). Ha aggiunto inoltre di aver celato questa rivelazione per timore di mettere a rischio l'incolumità della propria famiglia ma di sentirsi adesso libero di poter parlare, dopo la morte dei genitori.

È da notare che, poco dopo la morte di Pasolini, un agente di polizia che operava sotto copertura in una indagine nel mondo della malavita romana avrebbe avuto modo di raccogliere le confidenze di due giovanissimi fratelli di origine catanese, che si sarebbero vantati con lui di aver partecipato al massacro unitamente ad altri. I due giovani conoscevano il Pelosi, del quale erano vicini di casa e frequentavano un centro ricreativo che il giovane reo confesso aveva a sua volta frequentato e che era ritenuto dalla polizia una "copertura" per attività di gruppi dell'estrema destra. Tuttavia, le indagini non furono mai approfondite per mancanza di prove; entrambi i giovani morirono all'inizio degli anni Ottanta. Sentiti in merito, i due fratelli, appena quindicenni, non negarono di aver fatto una simile confidenza, ma sostennero di aver compreso che il loro interlocutore era un agente sotto copertura e di aver voluto prenderlo in giro, millantando fatti inverosimili. Il loro alibi per quella notte risultò comunque assai dubbio.

A trent'anni dalla morte, assieme alla ritrattazione del Pelosi, è emersa la testimonianza di Sergio Citti, amico e collega di Pasolini, su una sparizione di copie dell'ultimo film Salò e su un eventuale incontro con dei malavitosi per trattare la restituzione. Sergio Citti morì per cause naturali alcune settimane dopo.

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Un'ipotesi molto più inquietante lo collega invece alla "lotta di potere" che prendeva forma in quegli anni nel settore petrolchimico, tra Eni e Montedison, tra Enrico Mattei e Eugenio Cefis. Pasolini, infatti, si interessò al ruolo svolto da Cefis nella storia e nella politica italiana: facendone uno dei due personaggi "chiave", assieme a Mattei, di Petrolio, il romanzo-inchiesta (uscito postumo nel 1992) al quale stava lavorando poco prima della morte. Pasolini ipotizzò, basandosi su varie fonti, che Cefis alias Troya (l'alias romanzesco di Petrolio) avesse avuto un qualche ruolo nello stragismo italiano legato al petrolio e alle trame internazionali. Secondo autori recenti e secondo alcune ipotesi suffragate da vari elementi, fu proprio per questa indagine che Pasolini fu ucciso.

Altri collegano la morte di Pasolini alle sue accuse a importanti politici di governo di collusione con le stragi della strategia della tensione. Walter Veltroni il 22 marzo 2010 ha scritto al Ministro della Giustizia Angelino Alfano una lettera aperta, pubblicata sul Corriere della sera, chiedendogli la riapertura del caso sottolineando che Pasolini è morto negli anni '70, "anni cui si facevano stragi e si ordivano trame". Il 1º aprile del 2010, l'avvocato Stefano Maccioni e la criminologa Simona Ruffini hanno raccolto la dichiarazione di un nuovo testimone che ha aperto indagini che sono state definitivamente archiviate all'inizio del 2015. Le nuove indagini non hanno portato infatti a nulla di nuovo rispetto alla sentenza, se non ad alcune tracce di Dna sui vestiti dello scrittore. Tracce però di impossibile attribuzione e impossibili da collocare temporalmente, se durante il delitto o prima di questo.

Contro le teorie del complotto

«Il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. Che bello se mentre siamo qui a parlare qualcuno in cantina sta facendo i piani per farci fuori. È facile, è semplice, è la resistenza.»
(Pier Paolo Pasolini - Ultima sua intervista, concessa poche ore prima di morire.)

Altri intellettuali, invece, sostengono la verità giudiziaria, o comunque non credono a complotti. Si tratta di scrittori e amici di Pasolini che ritengono del tutto inattendibile, per molti motivi, la ritrattazione di Pelosi a distanza di trent'anni. In linea generale, sono gli stessi che rifiutano la lettura politica militante delle opere di Pasolini e l’immagine edulcorata del personaggio che porta a farne "un santo e un martire". Essi privilegiano, invece, una chiave interpretativa dell’uomo e dell'opera legata alla sua particolare omosessualità, vissuta senza fermarsi di fronte a pratiche estreme e violente, anche con i minori.

Sono le basi da cui partono Edoardo Sanguineti (che definisce il suo comportamento “suicidio per delega"), Franco Fortini e il curatore dell’opera omnia Walter Siti per sostenere che in generale la sua scrittura presenta un forte contenuto autobiografico e che in particolare alcune opere sono una sorta di autobiografia originata da una tendenza sadomasochista votata all’autodistruzione.

Sono le stesse basi che utilizzano Nico Naldini, cugino di primo grado di Pasolini, anch’egli omosessuale, poeta e scrittore, nonché suo collaboratore in tutti i film, e Marco Belpoliti per dire che con le teorie del complotto si manifesta la resistenza della sinistra e di alcuni amici ad accettare la particolare omosessualità dello scrittore riducendola a una sorta di vizietto, una pratica privata di cui non si deve parlare, mentre invece costituisce la sostanza su cui egli ha fondato la sua opera e la sua critica della società. Naldini, che definisce le teorie del complotto "bufale che si inseguono e che si divorano l'un l'altra", e "delirio che continua da molti anni e non è ancora del tutto passato", nel suo libro "Breve vita di Pasolini", scrive che l'attrazione per quel tipo di ragazzi gli faceva perdere il senso del pericolo. Un senso che avrebbe invece dovuto tenere ben presente, vista anche la sua costituzione fisica assai minuta (era alto 1,67cm e pesava 59kg.) che lo portava ad essere facile oggetto di lesioni, anche da parte di ragazzini. Per diversi motivi, tra cui il fatto che lo scrittore, da tempo, aveva adottato il sadomasochismo, anche con rituali feticistici (le corde per farsi legare e così immobilizzato in una sorta di scena sacrificale farsi percuotere fino allo svenimento), Naldini ritiene che abbiano purtroppo ragione coloro che dicono che, suo cugino, in fondo, se la sia cercata. La sua morte è spiegata dal fatto che viveva una vita violenta: per questo egli pensa che sia allo stesso tempo tragico e ridicolo volerlo trasformare in una specie di santo laico.

Fonte: Wikipedia, l'enciclopedia libera

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