Il dittongo?
È... mobile. Gli abitanti di Siena si chiamano Senesi (senza la ‘i’); i derivati di scuola, come scolaro, scolastico si scrivono senza la u:
come mai questa mancanza di uniformità? Come mai in queste parole,
come in moltissime altre, del resto, cadono dalla parola-madre le
vocali i e u? È presto detto. Si tratta di vocaboli che al loro interno contengono il così detto dittongo mobile. Vediamo, innanzi tutto, che cosa è un dittongo.
Si chiama così l’unione di due vocali pronunciate con una sola emissione di voce e che, di conseguenza, costituiscono una sillaba unica. Il dittongo, il cui nome deriva dal greco δίφθογγος (diphthongos = suono doppio) è dato dall’incontro di una vocale forte o aspra (a, e, o) con una debole o dolce (i, u): suono, fuoco, cielo; oppure dall’incontro di due vocali deboli o dolci: fiume, piuma.
A loro volta si dividono in dittonghi ascendenti e discendenti, secondo la posizione dell’accento tonico. Saranno ascendenti se l’accento tonico (accento che si sente ma non si segna) cade sulla seconda vocale: buono; discendenti se l’accento tonico cade sulla prima delle due vocali: reuma, feudo.
Tra i dittonghi ve n’è uno particolare chiamato, appunto, dittongo mobile perché, come dice la stessa parola, si muove a seconda della posizione dell’accento tonico. Per essere estremamente chiari diremo che in grammatica (la fonetica) prende il nome di mobile quel dittongo che resta tale quando si trova in sillaba accentata e si contrae, invece, in semplice vocale quando si trova fuori della sillaba accentata. Vediamo di spiegarci meglio con alcuni esempi.
Abbiamo detto, all’inizio di queste noterelle, che gli abitanti di Siena si chiamano senesi (senza la i). Vediamo, ora, il motivo della caduta della vocale i. Da Siena dovremmo avere, per logica, sienesi e da scuola, sempre per logica, scuolaro e scuolastico. A questo punto occorre prestare molta attenzione alla pronuncia, in particolare all’accento tonico.
Da Siena, quando formiamo l’aggettivo senese, l’accento tonico si sposta dal dittongo ie sulla sillaba successiva, di conseguenza il dittongo ie si contrae in semplice vocale: Sièna > senése (abbiamo segnato gli accenti per maggiore chiarezza). Lo stesso discorso per i derivati di scuola: scuòla, scolàro, scolàstico. Il motivo della mobilità di questi dittonghi sta, dunque, tutto nella forza della pronuncia, dell’accento in particolare, ed è una conseguenza dovuta al passaggio dei vari suoni dal latino (sempre lui!) all’italiano.
Molti verbi devono essere coniugati secondo la regola del dittongo mobile, che non tutti, però, rispettano. Così il futuro del verbo sedere sarà: sederò, sederai, sederà ecc. e non siederò, siederà (anche se alcuni vocabolari l’ammettono). Analogamente il condizionale sarà sederei ecc.
In musica non abbiamo, infatti, la sonata in fa minore? Nessuno, riteniamo, direbbe la suonata. Perché, allora, sovente, per non dire sempre, dobbiamo leggere infuocato in luogo del corretto infocato? Chi dice e scrive infuocato dovrebbe dire e scrivere, per coerenza, sfuocato. Perché promuovendo invece di promovendo? Nuociuto anziché nociuto?
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