Un non pericoloso...
Qualche giorno fa siamo stati testimoni involontari di una lite coniugale, per motivi di gelosia, scaturita da un non linguisticamente inopportuno.
Un nostro carissimo amico, in occasione dell’anniversario del suo matrimonio, aveva regalato alla moglie un bellissimo mazzo di rose accompagnato con un biglietto sul quale aveva scritto: «Amore mio adorato, in questo fausto giorno non posso non rinnovarti, senza gioia, la mia promessa d’amore e rammentarti, ancora una volta, che non posso non amare che te, solo te».
Il nostro amico mai avrebbe potuto immaginare che le sue parole d’amore avrebbero trasformato quel fausto giorno in un giorno... infausto: con il suo biglietto comunicava alla moglie che l’amore per lei lo lasciva indifferente e, cosa ancora più grave, le comunicava il suo tradimento o, per lo meno, l’intenzione di tradirla.
Sì, questa era la corretta interpretazione del biglietto e la moglie, ben ferrata in lingua – al contrario del marito – si era giustamente risentita. In lingua italiana due non affermano: la frase non posso non rinnovarti senza gioia suona, quindi, ti rinnovo senza gioia.
Il nostro amico, se fosse stato bene attento ai problemi di lingua, avrebbe dovuto sostituire il senza con il con: «non posso non rinnovarti (quindi: ti rinnovo), con gioia, la mia promessa d’amore». Si presti molta attenzione, dunque, al trabocchetto della doppia negazione: molti scrittori, per non parlare dei nostri politici, amano infarcire i loro scritti e discorsi di una serie di non che rendono di difficile comprensione il tutto, quando, addirittura, non stravolgono completamente il senso del discorso, come nel caso in questione.
Il non non sempre è pleonastico (cioè grammaticalmente superfluo) e colui che ascolta o legge non deve necessariamente essere fornito di calcolatrice per fare il conto delle negazioni e stabilire, così, se la frase è negativa o affermativa. È questione di stile e, perché no? di educazione, diamine!
Lasciamo, quindi, ai politici la responsabilità dei loro troppi non anche perché – prendendo in prestito un anacoluto manzoniano – è il loro mestiere non essere mai chiari. Noi, da comuni mortali, cerchiamo di esprimerci il più chiaramente possibile al fine di non incorrere nell’incidente linguistico di cui è stato vittima – ancora una volta – il nostro amico.
La frase della missiva non posso non amare che te suona, infatti, non posso amare solo te. Nella frase incriminata oltre ai due non c’è anche il che restrittivo o eccettuativo che cancella il secondo non e significa solamente: alla luce delle norme grammaticali, per tanto, la frase suona «non posso amare solamente te».
Avrebbe dovuto scrivere, il nostro amico, non amo che te; cioè non amo nessuno eccetto te (il che restrittivo, infatti, cancellando il non fa suonare la frase così: amo solamente te).
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