I verbi in -ere
Perché l’infinito dei verbi della seconda coniugazione — quelli che finiscono in -ere, per intenderci — si presenta ora in forma piana, cioè con l’accento tonico sulla penultima sillaba (vedere, temere), ora in forma sdrucciola, vale a dire con l’accento tonico sulla terzultima (credere, leggere ecc.)?
Il motivo va ricercato risalendo all’origine della nostra lingua, cioè al... latino. Nell’idioma dei nostri padri latini esistevano due coniugazioni in -ere di cui una con l’infinito piano (vidère) l’altra con l’infinito sdrucciolo (lègere) che costituivano, nell’ordine, la seconda e la terza coniugazione.
Queste due coniugazioni latine che differivano non solo nell’infinito ma anche in altre forme si sono unificate nella parlata durante il passaggio dal latino al volgare (l’italiano) mantenendo, però, la distinzione di accentazione dell’infinito, mentre le altre forme sono divenute uniche per entrambe le coniugazioni.
Da notare che a questa coniugazione in -ere appartengono i verbi fare e dire che alcune grammatiche classificano rispettivamente ed erroneamente nella prima e terza coniugazione. Fanno parte, invece — come abbiamo visto — della seconda coniugazione essendo le forme sincopate dei verbi latini fa(ce)re e di(ce)re. La sincope, sarà bene ricordarlo, è la caduta di una o più lettere nel corpo della parola. La prova dell’appartenenza alla seconda coniugazione si ha confrontando alcuni tempi e modi dei verbi fare e dire con altri della medesima coniugazione: facevo (temevo); dicevo (temevo); facessi (temessi); dicessi (temessi).
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