Lo spilorcio
«Pregiatissimo dr Raso,
le sarei veramente grato se potesse darmi qualche notizia sull'origine di “spilorcio” che, come si sa, significa avaro. Tutti i vocabolari consultati concordano: di etimo incerto. Seguo sempre le sue noterelle dalle quali apprendo cose linguistiche che — come spesso lei fa notare — non sono riportate nei testi di lingua. Il suo lavoro, quindi, è encomiabile. Grazie se prenderà in considerazione la mia richiesta.
Cordiali saluti
Ottaviano S.
Carbonia»
Cortese Ottaviano, effettivamente l'origine etimologica di spilorcio è quanto mai incerta, se non sconosciuta. Ecco quanto si può leggere nel dizionario etimologico di Ottorino Pianigiani.
E quanto riportano le note linguistiche al “Malmantile racquistato" (un poema burlesco, ndr): «Spilorceria: sordidezza, avarizia. (È probabile che) questa parola venga da “pilorci”, che i pellicciai chiamano quei ritagli di pelle, che, non essendo buoni a mettere un'opera, gli riducono in spazzatura, la quale poi vendono per governare i terreni».
Dare una stangata (o essere stangato)
Il ragionier Piombini era fuori di sé: aveva appena appreso che il suo collega di stanza sarebbe stato promosso al grado superiore; mentre lui, più anziano, era fermo al settimo livello.
Era invidioso, quindi, e trascorreva le giornate pensando a come poter stangare il suo “amico”, vale a dire a quale ostacolo frapporre per impedirgli l'avanzamento di carriera. Un giorno fu sorpreso dal figlio mentre ad alta voce diceva fra sé e sé: “devo dargli una stangata, devo dargli una stangata”.
Il figlio corse nel ripostiglio, prese una stanga di legno e, con aria trionfante, la porse al padre: «Ecco la stanga, papà, puoi toglierti la soddisfazione». Ci volle tutta la pazienza del padre per convincere il figliolo che egli intendeva dire una stangata metaforica.
«Donde viene, allora, questo modo di dire?», chiese con evidente interesse il giovinetto. «Innanzi tutto — cominciò il padre — essere o venire stangato significa ricevere un colpo, in senso figurato, da cui è molto difficile risollevarsi; subire un rovescio di fortuna; essere fermato da un ostacolo o da un provvedimento che taglia le gambe in una determinata attività.
Per esempio, tuo fratello ha ricevuto una stangata a scuola perché è stato bocciato; la stangata, vale a dire la bocciatura, è l'ostacolo che non ha permesso a Giulio di essere ammesso alla classe superiore».
L'espressione si rifà a un'usanza antica: un tempo nei magazzini dei mercanti che dichiaravano il fallimento si inchiodava una piccola stanga di legno, con i bolli dell'ufficio preposto, per indicare che erano stati chiusi al commercio, di conseguenza i mercanti avevano cessato l'attività.
Di qui, per l'appunto, l'uso figurato dell'espressione.
La lingua acidula della stampa
Se, per ipotesi, tra le molte leggi e leggine se ne varasse una che interdicesse le persone con scarsa padronanza della lingua italiana — vogliamo peccare di presunzione — dallo scrivere moltissime penne della carta stampata (e no) dovrebbero cambiare mestiere. Sì, proprio così.
Siamo rimasti scioccati nel leggere su un quotidiano che fa opinione il termine interditore in luogo della forma corretta interdittore (con due t). Diciamo subito — a scusante dell'autore (una così detta grande firma) del pezzo incriminato — che alcuni vocabolari non registrano la parola in oggetto. Ciò non significa, però, che colui che scrive per il pubblico — diffonde, quindi, la cultura — sia esentato dal conoscere la corretta grafia dei termini che adopera.
Interdittore, cioè proibitore, viene dal latino interdictor e divenuto in italiano interdittore, appunto, per la legge linguistica dell'assimilazione: la consonante c è stata assimilata dalla t. L'assimilazione — forse è bene ricordarlo — è un processo linguistico per cui dall'incontro di due consonanti la prima diventa uguale alla seconda, cioè si assimila.
Diverso, invece, è il caso dell'aggettivo brettone — che le solite grandi firme scrivono erroneamente con una sola t. La forma corretta è con due t (brettone), non perché in questo caso entra in vigore la legge dell'assimilazione linguistica, ma perché il termine viene dal tardo latino britto, brittonis dove la doppia t è insita nella radice. Bretone, con una sola t e che alcuni ritengono grafia corretta, è l'italianizzazione del francese breton. Gallicismo che sconsigliamo vivamente se si vuole scrivere e parlare la lingua di Dante in modo corretto.
Un'altra prova di quanto affermiamo si ha leggendo questo titolo di un giornale in rete: «Torino, superati i valori di monossido e di acido cloridico». In questo caso il redattore titolista ha dimostrato di aver frequentato con scarso profitto le aule scolastiche. L'acido in questione si chiama cloridrico, il nome è composto, infatti, con il sostantivo cloro (non schiettamente italiano derivando dal francese chlore) e il suffisso -idrico.

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