L'aspetto più deteriore
Due parole su un aggettivo che non si può comparativizzare: deteriore. Molti (tutti?) lo adoperano al grado comparativo, più deteriore, non sapendo, probabilmente, che di per sé è di grado comparativo significando più cattivo, peggiore.
Viene, infatti, dal latino deterior, comparativo dell' aggettivo (non documentato) deter (cattivo). Coloro, quindi, che dicono (e scrivono) più deteriore cadono in un madornale errore in quanto è come se dicessero più peggiore.
Questo più deteriore, insomma, è quanto di... deteriore si possa leggere in alcuni critici cinematografici che non provano vergogna nello scrivere frasi del tipo «l'attore ha messo in luce l'aspetto più deteriore di sé».
Queste firme eccellenti mettono in luce, invece, l'aspetto “più deteriore" della loro lingua.
Fare la marionetta
Vi è mai capitato, gentili amici, di dire o sentir dire da qualcuno «non fare la marionetta», comportati, cioè, da persona seria, assennata? Certamente sì.
La marionetta, infatti, come recitano i vocabolari è un «piccolo fantoccio articolato che viene fatto muovere con alcuni fili collegati alle varie parti (braccia, gambe, testa ecc.)» e, in senso figurato o traslato, «persona che agisce meccanicamente, con scarsa serietà o solo perché guidata e incitata da altri».
Colui che fa la marionetta si comporta, per tanto, come un fantoccio. Ma vediamo — perché è ciò che ci interessa in questa sede — l'origine della marionetta da cui è stato tratto il modo di dire.
Occorre tornare indietro nel tempo e fermarsi a qualche secolo fa, quando — in onore della Madonna — nelle processioni si portavano grossi e altissimi simulacri rappresentanti la Vergine Maria. Questa usanza era particolarmente sentita a Venezia.
Il popolo battezzò quei semisacri pupazzi Marione, vale a dire grosse Marie; mentre quelli più piccoli, indipendentemente dal fatto che rappresentassero la Madonna o altri santi, furono chiamati marionette, ossia piccole marione.
Il sospetto...
«Nulla ispira a un uomo tanti sospetti quanto il fatto di saper poco». Questa massima di Francesco Bacone, capitataci, per caso, sotto gli occhi ci ha dato la stura per proseguire il viaggio attraverso la foresta del vocabolario italiano alla ricerca di parole di tutti i giorni, quelle che adoperiamo per pratica il cui significato nascosto non è noto a tutti. Il sospetto è una di queste parole.
Il significato scoperto, dunque, si può apprendere consultando un qualsivoglia vocabolario dell'uso e scoprire così che detto termine può essere tanto sostantivo quanto aggettivo e che è tratto dal verbo sospettare che significa dubitare, supporre, temere, ma l'accezione principe resta quella più conosciuta, vale a dire ritenere qualcuno colpevole di qualche misfatto, senza, tuttavia, alcuna prova certa: la polizia sospettava quell'uomo di essere l'esecutore dell'omicidio.
Questo, dunque, il significato scoperto; e quello nascosto, vale a dire il significato intrinseco della parola, del verbo? Per scoprirlo occorre rifarsi all'etimologia che ci rimanda al verbo latino suspectare, intensivo di suspicere, composto con su(b) (sotto) e specere (guardare), in senso proprio guardare dal basso.
Chi ha un sospetto, dunque, guarda la persona sospettata dal basso in alto e — in senso figurato — la guarda fissamente a lungo. Insomma, come fa notare Ottorino Pianigiani, «il sospettare sembra “quasi dica guardar sotto la veste per scoprirvi il pugnale nascosto, ma che invece ha il senso originale di “guardar dal basso in alto", presa la similitudine dalla fiera che a muso alzato fiuta il vento, o dal guardar sottecchi proprio di chi guarda con diffidenza».
Diffidare, infatti, non è sinonimo di sospettare, anche se meno “forte" di quest'ultimo? E la persona che sospetta non teme, non dubita, non prende ombra? Forse quasi nessuno dei nostri 25 lettori (rubiamo le parole al principe degli scrittori, Alessandro Manzoni) ha mai sentito parlare della topotesìa perché pochissimi vocabolari attestano questo termine.
Che cosa è, dunque? È un sostantivo femminile di origine greco-latina e vale descrizione di un luogo non reale, immaginario. È composto con le voci greche τόπος “topos" (luogo) e τίθημι “tithemi" (io colloco,metto, pongo)
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