Nozze di sogno o da sogno?

Nozze da sogno, ma solo nei ricordi: 60 anni dopo gli scatti del nuovo “sì” Probabilmente ci ripetiamo, e nel caso ci scusiamo, ma come dicevano i nostri antenati Latini... Ci riferiamo all'uso improprio, per non dire errato, della preposizione da.
La grande stampa, quella, come usa dire, che fa opinione, continua imperterrita a sfornare titoli del tipo nozze da favola, giornata da incubo, festa da ballo e simili. Bene, anzi male, malissimo: quel da — contrariamente a quanto sostengono alcuni vocabolari e vari sacri testi grammaticali — è errato. Si deve dire nozze di favola. Perché?
Il motivo è semplicissimo. La preposizione da è adoperata correttamente solo per indicare la destinazione, l'attitudine o l'idoneità di qualcosa: sala da ballo (destinata al ballo); bicicletta da corsa; veste da camera; pianta da frutto ecc. Il suo uso è scorretto, e occorre adoperare la preposizione di, quando si parla, invece, di una qualità specifica di una determinata cosa e non di un'occasionale destinazione. Si dirà correttamente, quindi: festa di ballo; nozze di favola; uomo di spettacolo; notte di inferno e via discorrendo.
Una regola empirica ci aiuta nell'uso del da o del di. Quando il sostantivo che segue la preposizione da può essere sostituito con un aggettivo o si può formare una proposizione relativa, la preposizione da va cambiata in di. Una vita da inferno, per esempio, può essere cambiata in vita infernale o in vita che è un inferno, in questo caso, quindi, la preposizione da va sostituita con la preposizione di. Ancora. Una notte da favola si può trasformare in una notte favolosa o in una notte che è una favola. Quindi: notte di favola.
Unica eccezione: biglietto da visita. Questa locuzione, benché errata, è ormai una forma cristallizzata nell'uso. Le eccezioni, si sa, confermano le regole.
26-02-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


Maratona: i km si coprono o si percorrono?

Se apriamo un qualsivoglia vocabolario della lingua italiana alla voce coprire, leggiamo: «rivestire con qualcosa per nascondere; e, in senso figurato, anche occultare, dissimulare, soddisfare, pareggiare, occupare, tenere, riempire, difendersi, percorrere (riferito al tempo impiegato), eccetera».
Orbene, anche se i dizionari ammettono la correttezza del verbo coprire nei suoi significati figurati, noi non possiamo trattenere un sorriso quando leggiamo sulla stampa che «il corridore ha coperto i pochi chilometri che lo separavano dal traguardo in 20' e 15''». Ci riesce difficile allontanare dalla nostra mente l'immagine del corridore che, metro per metro, copre il percorso con un tappeto non curandosi del tempo che l'operazione richiede, a tutto vantaggio dei suoi avversari.
Ci riesce difficile anche immaginare (ma non molto in questo caso) come una persona abbia potuto coprire per quindici anni il posto di ministro, incollata con il posteriore sulla poltrona.
Sarebbe il caso — a nostro modestissimo modo di vedere — che gli amanti del bel parlare e del bello scrivere non si facessero plagiare dai massinforma (giornali e radiotelevisioni) e tenessero le parole, o meglio i sinonimi del verbo coprire, a bagnomaria — come si usa per le pietanze — e di scolarli caldi caldi nel momento opportuno.
Diremo correttamente, quindi, che il corridore ha percorso i pochi chilometri in 20' e 15'' e che quella persona ha occupato oppure ha tenuto per 15 anni il posto di ministro (non da ministro, come spesso si legge in articoli delle così dette grandi firme: si tratta, infatti, di un normale complemento di specificazione); così diremo che pareggeremo le spese sostenute, non le copriremo.
I lettori che seguono le nostre modeste noterelle non potranno di certo — crediamo — essere coperti di ridicolo.

25-02-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


Su qui e su qua...

Tutti ricorderanno la canzoncina scolastica: su qui e su qua l'accento non va, su lì e su là l'accento ci va. Pochi, crediamo, ricorderanno la ragione. Ci permettiamo di rinfrescare loro la memoria, anche perché ci capita sovente di leggere sulla stampa gli avverbi di luogo qui e qua con tanto di accento.
Una regola grammaticale stabilisce, dunque, che i monosillabi composti con una vocale e una consonante non vanno mai accentati, salvo nei casi in cui si può creare confusione con altri monosillabi ma di significato diverso come nel caso, appunto degli avverbi di luogo e che, se non accentati, potrebbero confondersi con li e la, rispettivamente pronome e articolo-pronome.
Un'altra legge grammaticale stabilisce, invece, l'obbligatorietà dell'accento quando nel monosillabo sono presenti due vocali di cui la seconda tonica: più; giù; ciò; già ecc. Dovremmo scrivere, quindi, quì e quà (con tanto di accento). A questo proposito occorre osservare, però, che la vocale u quando è preceduta dalla consonante q fa da serva a quest'ultima; in altre parole la u, in questo caso, non è più considerata una vocale ma parte integrante della consonante q.
Si ha, per tanto, qui e qua senza accento perché — per la legge sopra citata — i monosillabi formati con una consonante e una vocale respingono l'accento grafico (scritto): me; te; no; lo; qui.

24-02-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink