Parallelo / parallelismo (in linguistica)
«Egregio dott. Raso,
cortesemente può dirimere il seguente quesito? Per relazionare due fatti si dice: facendo un parallelo o facendo un parallelismo?
Grazie e cordiali saluti.
Salvo G.
(Località non specificata)»
Gentile Salvo, in linea di massima i due termini possono considerarsi sinonimi. È preferibile però, in buona lingua, fare un distinguo.
Useremo parallelismo per indicare un rapporto di analogia fra due o più fatti, fenomeni ecc.
Adopereremo parallelo quando intendiamo fare un confronto, una comparazione, un paragone tra due o più fatti, opere e simili: un parallelo tra le opere del Pascoli e quelle del Carducci.
Per relazionare due fatti, quindi, dobbiamo vedere — prima di usare parallelo o parallelismo — cosa vogliamo mettere in evidenza: l'analogia o il confronto.
Il medico e l'ingenuo
Avreste mai immaginato, gentili amici, che il termine ingenuo — il cui significato è a tutti noto — in origine indicava il neonato preso dal padre sulle sue ginocchia?
Come si è arrivati all'accezione di persona poco accorta, persona priva di malizia? Vediamo assieme i vari passaggi semantici risalendo, come sempre, alla lingua dei nostri padri: il latino.
Ingenuo, dunque, è il latino ingenuu(m), derivato di genu (ginocchio) e aveva il significato suddetto, valendo riconosciuto autentico (dal padre che lo aveva preso sulle sue ginocchia). Con il trascorrere del tempo il vocabolo fu interpretato come formato da in e genus (casato, stirpe) mantenendo press'a poco il significato originario: nato da casato interno (non da schiavi o barbari) e, per tanto, franco, libero, nobile.
Passato in italiano, il termine, attraverso il significato di schietto, genuino, libero nel parlare ha acquisito l'accezione di esageratamente spontaneo e, quindi, poco accorto, senza malizia, quindi... ingenuo. Ma le sorprese non sono finite. Prima che la parola approdasse in Italia (si fa per dire) anche in latino ingenuus era adoperato, talvolta, come sinonimo di limitato, delicato, sprovveduto, debole (di carattere).
E veniamo al medico perché — contrariamente a quanto si è portati a credere — colui che medita non è tanto il filosofo quanto (e soprattutto) il... medico. Sotto il profilo strettamente etimologico — naturalmente — il medico si può definire il meditabondo. Se ricerchiamo l'origine del termine vediamo, infatti, che esso non è altro che il latino medicu(m), derivato del verbo mederi, riflettere, meditare per cercare di sanare, quindi curare (dopo aver riflettuto, meditato).
Zazzeare
La parola proposta da questo portale: zazzeare, andare, cioè, a zonzo, bighellonare.
Dal Tommaseo-Bellini:
«V. a. Fanf.Girare qua e là senza proposito, Andare a zonzo. Pros. Fior. p. 4. V. 2. 187. E pet questo, e perciocchè voi sete stato zazzeando, io non v'ho scritto un pezzo fa, che non sapevo in qual clima voi foste».
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