Planometria o planimetria?
«Gentile dott. Raso,
Credo utile premettere una breve presentazione. Sono un geometra, e quindi un tecnico. Il primo contatto con la grammatica italiana, a scuola, fu anche l'ultimo: dopo aver preso atto con soddisfazione dell'esistenza di regole, mi deluse il fatto che esistessero eccezioni. Dunque chiusi il libro, e cominciai ad andare a orecchio. La cosa mi pone dei limiti, e impone anche sforzi indubbiamente maggiori della precisa conoscenza di regole e eccezioni; ma di questo ho potuto prendere reale coscienza soltanto in età talmente tarda da non poter più rimediare. Cionondimeno ho un'alta considerazione della scrittura corretta, in quanto è indiscutibilmente efficace; e ciò ha importanza anche in campo tecnico quando una perizia non può permettersi il lusso dell'ambiguità. E dunque mi arrabatto per evitare gli strafalcioni più inverecondi. Ma alle volte mi perdo anche in piccoli particolari, soprattutto quando mi inducono un brivido sconquassando suoni che mi erano familiari. Questo è il motivo per cui mi faccio vivo. Nel mio lavoro, che consiste prevalentemente in rilevamenti topografici, si eseguono operazioni planimetriche, altimetriche e volumetriche. Molte volte una delle ultime due integra le prime e, fin da quando, bambino, seguivo mio padre, sentivo parlare di lavori plani-altimetrici e plani-volumetrici. Parecchi colleghi, che pure adoperano la forma plani-volumetrici, propendono per la forma plano-altimetrici nell'altro caso. E quella o mi ferisce i timpani. Forse ho già abusato della Sua pazienza, ma se potesse chiarirmi i motivi per considerare corretto plani-altimetrici piuttosto che plano-altimetrici, o viceversa, ne ricaverei un sollievo impagabile. Naturalmente nel caso del viceversa dovrei fare molto esercizio, ma conoscendone la giustificazione spero di poterci riuscire. La ringrazio per la cortese pazienza e La saluto cordialmente
Leonardo
Bologna»
Cortese Leonardo, sarò telegrafico. Sì, ha ragione, quella o fa male ai timpani perché non è corretta. Si deve dire PLANI, tanto nel singolare quanto nel plurale. Questo prefisso viene dal latino planus, divenuto in italiano plani (di forma piana).
Diremo, quindi, planimetria, non planOmetria; planisfero, non planOsfero, ecc. Trattandosi di un prefisso, inoltre, si scrive attaccato alla parola (senza trattino).
Di e da nel complemento di moto da luogo
Le preposizioni di e da — chi non lo sa? — si adoperano per introdurre il complemento di moto da luogo. I classici, però, molto più autorevoli dell'estensore di queste noterelle, non le adoperavano indifferentemente, facevano un distinguo.
Riservavano la preposizione da (il latino ab) per indicare propriamente l'allontanarsi dall'esterno di un luogo; la preposizione di (il latino ex o e), invece, per indicarne più spesso il partire dall'interno d'un luogo; l'uscirne fuori, insomma.
Secondo questa regola classica — che ci sentiamo di consigliare a chi ama il bel parlare e il bello scrivere — la preposizione di si usa con i verbi partire, fuggire, uscire, cadere, guarire; la sorella da con i verbi nascere, dipendere, derivare, degenerare, tralignare, scampare.
L'uso del di per da nel moto da luogo, insomma, è una di quelle cosucce linguistiche che ancora oggi — se adoperate correttamente — mettono all'occhiello dello scrivente o del parlante un bellissimo distintivo di classicità. E Giacomo Leopardi non mancò di... fregiarsene.
E con la medesima logica — i classici — distinguevano i modi lontano da... e lontano a.... Nel primo modo si percepisce lo spazio dal punto più lontano da noi a quello più vicino; nel secondo si percepisce lo spazio dal punto a noi più vicino al punto a noi più lontano.
Vedere le stelle...
...provare, cioè, una sofferenza fisica acutissima, sentire un dolore molto intenso tanto da togliere il respiro. Chi di voi, cortesi amici, non ha mai visto le stelle?
Purtroppo il veder le stelle fa parte del corso della vita cui nessuno può sottrarsi. Donde viene, dunque, questo modo di dire?
Secondo alcuni Autori l'espressione descrive effettivamente quella sensazione di sfarfallìo luminoso — davanti agli occhi — che si ha quando si viene colpiti da un dolore repentino e acuto.
Più scientifica — a nostro avviso — la spiegazione che tentano di dare le note linguistiche al Malmantile racquistato (un poema burlesco).
Spiega, infatti, il Minucci, uno dei notisti: «Quando uno sente un gran dolore si dice egli ha visto le stelle perché le lacrime, che vengono in su gli occhi pel dolore, fanno apparire con la rifrazione della luce che vi batte, una cosa simile a una gran quantità di stelle in cielo».

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