Ancora sulla lingua della stampa

«È gravissimo il quadro che emerge dall'inchiesta della Procura di Lecce sugli abusi subiti da un'adolescente di un paese della provincia di Lecce, che è stata recentemente allontanata dalla casa familiare per sottrarla a un clima di omertà che gli inquirenti ritengono pericoloso.»

Il periodo che avete appena letto, tratto da un articolo di un giornale in rete, contiene due errori; uno veniale (matita rossa) l'altro mortale (matita blu).

Il veniale è la e verbo con l'apostrofo e non, correttamente, con l'accento (È); l'altro, mortale, è la collocazione del pronome relativo, che in buona lingua italiana si riferisce sempre all'antecedente, in questo caso alla città di Lecce.

Stando alla lingua, quindi, dalla casa familiare non è stata allontanata la fanciulla, ma la città di Lecce.

Attendiamo, naturalmente, di essere smentiti dai soliti linguisti d'assalto.

27-01-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


Declinare

Probabilmente non tutti saranno d'accordo su quanto stiamo per scrivere (ogni giudizio, ovviamente, è soggettivo). Nel nostro lessico c'è un verbo che sa troppo di burocrazia e andrebbe, a nostro modo di vedere, sostituito con altri più consoni. Il verbo incriminato è declinare.

Non dimentichiamo che l'accezione primaria del suddetto verbo è volgere, tendere gradatamente al basso derivando dal latino chinare (inclinare): la montagna declina verso la pianura. Adoperarlo nel senso di rendere noto o di respingere ci sembra, per l'appunto, un abuso linguistico.

Spesso, anzi sempre, si sente dire o si legge declinò le generalità (le rese note); la direzione declina ogni responsabilità; Mario ha declinato l'invito. Non è meglio dire respinge ogni responsabilità; dette (o riferì) le generalità e ha rifiutato, non ha accettato l'invito?

Declinare, insomma, è un verbo che, a nostro avviso, meno si usa nelle accezioni incriminate meglio è per il bene della lingua di Dante.

26-01-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


Un titolo «itangliano»

Ecco un titolo — di un quotidiano in rete — che si potrebbe definire itangliano: Crescono le borse post laurea, ma il 90% dei ricercatori sarà espulso
Perché itangliano? Perché il prefisso post-, in lingua italiana, non attaccato alla parola che segue non ha alcun senso. Post, da solo, si ha solo in lingua inglese con l'accezione di missiva, corrispondenza,
posta
. Gli amici lettore conoscono bene il termine perché postano i loro interventi nei vari siti.
Post-, dunque, in lingua italiana è un prefisso con valore temporale o spaziale e come tutti i prefissi si scrive unito alla parola che segue: postlaurea.
Vediamo ciò che riporta il Treccani in rete:
«pòst- (dal lat. post, post- “dopo, dietro”). —
Prefisso di molte parole composte, derivate dal lat. o, più spesso, formate modernamente, nelle quali indica per lo più posteriorità nel tempo, col senso quindi di “poi, dopo, più tardi”. Tranne pochi casi in cui ha funzione avverbiale (come quando è premesso a verbi), ha di solito funzione prepositiva rispetto al secondo elemento, che può essere un sostantivo o, più spesso, un aggettivo (postpliocene, postmoderno, postoperatorio). In termini dell'anatomia e anche della fonologia, ha spesso sign. locale, di “dietro, posteriore, situato posteriormente” e sim. (postipofisi, postorbitale, postdentale, ecc.). In parecchi composti si contrappone a pre- (prebellico — postbellico, preludio — postludio, prematuropostmaturo), in pochi a anti- (antidiluvianopostdiluviano, antidatare — postdatare (...).
»
Si può anche togliere la t e scrivere poslaurea se l'elemento che segue il prefisso comincia con una consonante, come nel caso in oggetto, appunto. Correttamente, dunque: postlaurea o poslaurea.

25-01-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink