Il laziale
Due parole su laziale, un'altra parola omografa e omofona con distinti significati: abitante del Lazio tifoso della squadra di calcio (la Lazio). E qui lanciamo una provocazione ai lessicografi.
Perché non chiamare il tifoso della squadra di calcio “lazista” e lasciare laziale solo per designare l'abitante della regione?
Laziale ambivalente — a nostro modo di vedere — può creare confusione tra l'abitante e il tifoso. Un abitante di Frosinone, per esempio, è un laziale, ma non necessariamente un tifoso della Lazio.
A suffragio della nostra tesi — che non riteniamo affatto peregrina — portiamo una motivazione etimologica. Il suffisso -ale di laziale indica un'appartenenza: che è del Lazio, che appartiene al Lazio.
Lazista — per indicare il tifoso della squadra — oltre a non creare equivoci — ci sembra appropriato perché composto con il suffisso -ista con il quale si intende “colui che professa o parteggia per qualcosa”.
Il tifoso della Lazio non parteggia per la squadra del cuore? Ci piacerebbe conoscere il parere dei soliti
soloni della lingua...
Si dia un'occhiata anche qui.
Il rancio
Due parole sul rancio, uno dei vocaboli omografi e omofoni di cui la nostra lingua non difetta. Cominciamo con il dire che questo termine può essere tanto sostantivo quanto aggettivo.
Nel secondo caso è l'aferesi di (a)rancio: color dell'arancia; sta, quindi, per “arancione". Occorre dire, però, per “obiettività linguistica" che questo aggettivo viene adoperato, per lo più, in poesia; difficilmente un grande scrittore lo userebbe in una prosa. È anche aggettivo quando viene adoperato nell'accezione di rancido: quel formaggio è rancio, vale a dire rancido.
Il terzo significato — e in questo caso è un sostantivo — è quello noto a tutti: pasto dei soldati. L'origine non è schiettamente italiana (o latina) — per questo motivo, pur essendo l'accezione “principe" del vocabolo, lo abbiamo relegato nell'ultimo posto — ma spagnola: rancho (stanzone di persone). I militari non consumano il pasto in comune in uno “stanzone"?
Altro che o altroché? Dipende...
Tutti i vocabolari che abbiamo consultato sostengono l'intercambiabilità grafica dell'avverbio altroché: altroché o altro che.
A nostro modestissimo parere andrebbe fatto un distinguo in quanto l'avverbio su detto cambia di significato a seconda della grafia. La scrizione univerbata, altroché, andrebbe adoperata quando l'avverbio in questione ha il valore di esclamazione affermativa con il significato, per l'appunto, di sicuramente, senza dubbio, certamente ecc.: ti è piaciuto il film? Altroché!
La grafia analitica (scissa, separata), altro che, si dovrebbe usare, invece, allorché la locuzione indica una preferenza o un'esclusione rispetto a qualcos'altro: occorrono prove certe, altro che supposizioni.
Da evitare assolutamente la grafia altrocché (con due 'c') perché errata. L'aggettivo altro non determina geminazione (raddoppiamento della consonante).
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