Incognito
Due parole sull'uso corretto di incognito, che si costruisce senza la preposizione in (non in incognito, quindi). Il cantante è giunto a Roma incognito.
L'aggettivo, infatti, viene dal latino incognitus composto con la preposizione negativa in e il participio passato del verbo cognoscere.
La preposizione in è già dentro la parola, anzi all'inizio. Attendiamo, in proposito, gli strali di qualche linguista d'assalto nel caso s'imbattesse in questo sito.
Psicologhi o psicologi?
Ci dispiace immensamente di dover parlare sempre male di alcuni vocabolari (tra questi anche quelli così detti prestigiosi), anche perché conosciamo benissimo la fatica che comporta la loro compilazione.
Ma sappiamo altrettanto bene che i fruitori hanno bisogno di notizie chiare, precise e non debbono essere ingannati da certi dizionari che riportano i famosi ma anche o o... come nel caso del plurale dei nomi in -logo: psicologi o psicologhi.
Come dicevamo alcuni vocabolari ammettono entrambe le forme: -gi e -ghi. L'estensore di queste noterelle non è assolutamente d'accordo, una regola ci sarebbe e andrebbe rispettata. Per non aggiungere confusione a confusione, tralasciamo i sostantivi in -logo e occupiamoci di quelli in "-co" e in "-go" (tra questi ultimi sono compresi anche quelli in -logo).
Vediamo, dunque. Se i predetti sostantivi hanno l'accentazione sulla terzultima sillaba (accento che si legge ma non si segna), ossia se sono parole sdrucciole, faranno il plurale in -ci e in -gi: canonico, canonici; astrologo, astrologi; psicologo, psicologi.
Se, invece, sono parole piane, se hanno, cioè, l'accento sulla penultima sillaba, faranno il plurale in -chi e in -ghi: buco, buchi; mago, maghi.
Non mancano, naturalmente, delle eccezioni a questa regola, basti pensare ad amico che, pur essendo una parola piana, fa il plurale amici e non amichi; oppure a valico che fa valichi e non valici.
Abbiamo voluto mettere in evidenza la possibilità di una regola, che nella maggior parte dei casi può funzionare. I vocabolari dovrebbero essere tutti concordi, quindi; rispettando questa regola darebbero alla lingua quella omogeneità di cui abbisogna.
In casi di dubbi, amici, consultate più vocabolari: se tre su quattro sono concordi sarete sicuri di non incorrere in madornali errori.
Metterci una croce sopra
Chi adopera, ovviamente in senso figurato, il modo di dire in oggetto? Colui che considera chiuso un argomento e non vuole (o non può) tornarci più sopra.
Questa locuzione, dunque, è nota a tutti. Pochi però, forse, sanno che l'espressione è presa in prestito dai registri contabili. Un tempo — sui registri della contabilità — le partite e i crediti non esigibili venivano segnati con una... croce a margine.
Da registrare anche l'ipotesi che fanno alcuni autori secondo i quali l'espressione richiama il segno della croce che fanno i sacerdoti quando danno l'estremo saluto a un defunto.
Di significato affine e di origine intuitiva la locuzione metterci una pietra sopra: fa pensare, naturalmente, a una pietra con la quale si chiude definitivamente un sepolcro.
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