Dalla meretrice alla merenda
«Gentilissimo dott. Raso,
la importuno, ancora una volta, per una curiosità linguistica. Perché le donne che esercitano il mestiere più vecchio del mondo sono chiamate meretrici? Certo di una sua cortese risposta, la ringrazio anticipatamente e le porgo i miei più cordiali sentimenti di ossequio.
Ottavio L.
Terni»
Cortese amico, il termine meretrice viene dal latino meretrice(m), derivato del verbo merere (guadagnare, meritare). La meretrice, quindi, propriamente è "colei che merita un compenso (per le sue prestazioni)".
Dallo stesso verbo latino proviene la merenda, vale a dire quel leggero pasto che si fa nel pomeriggio, tra il pranzo e la cena. La merenda, per tanto, si deve meritare, guadagnare (ovviamente in senso figurato).
Essere (o andare) in braccio a Morfeo
Questa locuzione è conosciutissima, ci vergogniamo quasi di proporla alla vostra attenzione. Adoperata anche nella variante cadere nelle braccia di Morfeo significa cadere in un sonno profondissimo.
Il modo di dire, particolarmente caro ai fanciulli, che lo adoperano quando hanno sonno (buonanotte, vado in braccio a Morfeo) ci riporta alla mitologia classica (greco-latina).
Morfeo, dunque, era figlio del Sonno e della Notte e il Principe dei sogni, per questo era ritenuto una personificazione divina del sogno. Questo Dio (Morfeo) era raffigurato come un vecchio con le ali e con una corona di papaveri, mentre gli stemmi del Sogno e del Sonno erano il papavero e la bacchetta magica, quest'ultima aveva il potere di addormentare.
Una curiosità. La morfina, cioè quell'alcaloide estratto dall'oppio e usato in medicina per le sue qualità analgesiche e soporifere, deve il nome a Morfeo, per l'appunto.
Subire letteralmente
Molti giornalisti e scrittori usano infarcire i loro scritti di avverbi terminanti in -mente, quasi questi ultimi fossero un condimento indispensabile per insaporire le idee che mettono su carta. Tra gli avverbi, il più adoperato e, linguisticamente, il più logoro è, senza ombra di dubbio, letteralmente che, come fa notare il vocabolario Devoto-Oli, «sottolinea la particolare intensità o assolutezza di una condizione».
Chi non ha mai letto frasi del tipo era letteralmente morto per la stanchezza? Con l'avverbio letteralmente si vuole mettere in evidenza, appunto, la particolare intensità della stanchezza. È necessario osservare, però, che il significato proprio dell'avverbio in questione è nel senso letterale del termine, seguito, per tanto, da un aggettivo metaforico scancella il senso metaforico stesso.
A nostro modesto avviso, quindi, c'è una palese contraddizione interna che deve essere assolutamente eliminata. Come? Semplicissimo. O si toglie l'avverbio (letteralmente) o si elimina la metafora: era morto per la stanchezza (morto in senso metaforico, per l'appunto). Colui che è letteralmente morto per la stanchezza non abbisogna di una comoda poltrona, sibbene di un impresario di onoranze funebri che scelga per lui una comoda bara, eventualmente rivestita di raso. Scherzi a parte, non vi sembra che di questo letteralmente se ne possa fare letteralmente a meno?
E che dire del verbo subire, anche questo usato in tutte le salse da giornalisti e scrittori? Subire, sarà bene ricordarlo, significa — come recitano i vocabolari — sopportare e, generalmente, si sopporta qualcosa di spiacevole, di increscioso. Usarlo nel senso di incrementare — come ci capita di leggere e di sentire spesso — ci sembra una piccola grande sciocchezza: le vendite di quel prodotto hanno subito un aumento notevole.
Pedanteria? A voi la risposta, gentili amici amanti del bel parlare e del bello scrivere.

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