Su o sù?

Il su, in funzione avverbiale, si può anche accentare e non è assolutamente un errore, al contrario di quanto si
legge nel sito della Treccani in La grammatica italiana.

«La grafia con accento, anche se abbastanza diffusa, è scorretta e ingiustificata, perché non c'è possibilità di confusione con omografi (...)».

Il DOP, invece, è di parere diverso e chi scrive segue le sue indicazioni. Si veda qui.

Occorre distinguere, infatti, il su preposizione dal avverbio. Tra i due su c'è una notevolissima diversità di intonazione, di suono e, quindi, di... accento.

Il su preposizione è, in generale, atono: raccogli i panni su uno stenditoio; guarda su quella cima. Il su con valore avverbiale è, invece, fortemente tonico: guarda sù, verso la cima; non andare sù.

Il avverbiale, per tanto, si può accentare per mettere in evidenza la sua sonorità e nessuno, docenti di lingua compresi, potrà dire che è uno strafalcione perché la linguistica lascia ampia libertà di scelta a colui che scrive.

14-01-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


Divisa da o divisa di?

«Il vigile del selfie in divisa da SS reintegrato dopo la sospensione». Questo titolo di un quotidiano in rete contiene un errore che grida vendetta: in divisa DA SS. La preposizione corretta, da usare, è di: divisa DI Ss.

Si tratta di un normalissimo complemento di specificazione. La preposizione di specifica, infatti, di quale divisa si tratta.

Diamo la parola al Treccani:

« (...) Abito di foggia e colore particolare che viene indossato dagli appartenenti a una determinata categoria, perché siano facilmente distinguibili e riconoscibili; livrea, uniforme. Oggi, il termine designa più comunem. l'uniforme militare o di corpi militarizzati, di forze di polizia, e sim.: indossare la d., presentarsi in d.; onorare la propria d.; d. di ufficiale di fanteria; d. di aviere; la d. dei marinai, dei bersaglieri; d. di vigile urbano, di vigile del fuoco, di guardia giurata, ecc.; più raramente, l'uniforme di altre organizzazioni, di una società, di un corpo, ecc.: d. di accademico, di collegiale, di portiere (...)».

13-01-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink


Mancare un venerdì

«Gentilissimo dott. Raso,
mi piacerebbe conoscere il motivo per cui si dice “mancare di un venerdì” riferito a una persona un po' strana, bizzarra.
Nel dizionario dei modi di dire del “Corriere della Sera" in rete ho trovato il significato ma non il perché si dice, faccio il copincolla: “essere una persona strana, eccentrica, stravagante, bizzarra, che ragiona in modo tutto particolare, a volte incomprensibile o non condiviso dalla maggioranza. Anche apparire poco normali, e per estensione, essere pazzi”. Spero in lei.
La ringrazio anticipatamente e mi complimento per il suo meraviglioso libro, «Un tesoro di lingua», dal quale sto imparando molte cose.
Cordialmente.
Osvaldo A.
Cesena
»

Cortese Osvaldo, l'origine del modo di dire non è chiara, si fanno solo delle ipotesi. Io ne azzardo una.
L'espressione (si dice anche “mancare un giovedì”) potrebbe trarre origine dal fatto che il venerdì (e il giovedì) è il giorno centrale della settimana; mancando questo giorno la settimana sarebbe incompleta e, quindi, non sana.
Una persona alla quale “manca un venerdì” — in senso figurato — è, per tanto, una persona incompleta, non sana sotto il profilo psicologico.

12-01-2021 — Autore: Fausto Raso — permalink